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L’Aquila 6 aprile 2009, il mio (e nostro) ricordo

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Era il 6 aprile 2009 quando l’Aquila venne distrutta da un terremoto impossibile da dimenticare: il ricordo, nitido, di Simona Alotti

L’Aquila 6 aprile 2009, il mio (e nostro) ricordo

Era il 6 aprile 2009 quando l’Aquila venne distrutta da un terremoto impossibile da dimenticare: il ricordo, nitido, di Simona Alotti

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L’Aquila 6 aprile 2009, il mio (e nostro) ricordo

Era il 6 aprile 2009 quando l’Aquila venne distrutta da un terremoto impossibile da dimenticare: il ricordo, nitido, di Simona Alotti

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Pensavamo tutti che fosse “normale” per la posizione, per la connotazione geografica ma soprattutto, perché questo era quello che ci sentivamo dire e raccontare. Ci scherzavamo su e talvolta pensavamo fosse tutto esagerato. A L’Aquila “si balla” ogni tanto e anche se forse si stava ballando troppo spesso, noi continuavamo a sorridere. La casa era in una traversa del centro; una palazzina di quattro piani senza ascensore. Una doppia e tre singole. Una cucina, un bagno. La mia stanza era dritta lungo il corridoio, adiacente a quella che poi è diventata una delle persone più importanti della mia vita e lo è ancora adesso.

5 aprile h: 18.30 (circa).
Le parole di mio padre al telefono dopo una conversazione con la Protezione Civile. “Mi hanno detto di stare sereno e di dormire sonni tranquilli” “Meglio. Comunque, domani e dopodomani vado a lezione. Giovedì torno. Buona serata”

Cena tranquilla. Stavamo per andare a letto. Sul tavolo della cucina io e lei una di fronte all’altra. Come quei due pc. Che ad un certo punto si spostarono di circa 30 centimetri. Forse quella fu la prima volta che conobbi l’ansia. Quella vera. Usciamo. Andiamo in centro. Di nuovo chiacchiere e risate con tutti quelli che come noi, non stavano capendo. Niente.

5 aprile h: 23.30 circa.
Altra scossa. Veloce. Torniamo a casa. Chiavi caricabatterie, sciarpa. Tutto nella borsa come se dovessi uscire di nuovo. Indosso la felpa più pesante che avevo. Spengo la luce. La borsa era sull’orlo della scrivania. Stacco. Il letto era attaccato alla parete e vicino ad una finestra dai vetri sottilissimi. L’armadio di poco scostato, di fronte al letto.

6 aprile h: 3.32
La croce sul muro. Il letto spostato di 50cm
. L’armadio aperto, caduto, crollato. I vetri di quella finestra a pochi millimetri dalla mia faccia. Sembrava di essere in guerra. Le sirene, le urla, i pezzi di casa che ti cadevano attorno. Lei era crollata, dormiva profondamente. Le altre già scappate. Eravamo sole.

L’ho svegliata, tirata, attesa. Continuava a tremare tutto. Maledettamente forte. Continuavamo a gridare. Maledettamente forte. Tutto sbatteva. La palazzina poi, quasi crollò per intero.

Corri Ale, corri. Piangi? Non credo. Tagli. Graffi. Corse e sirene. Una città in disfacimento completo. Totale. Un deserto di pietre scadenti e storiche, di pilastri e vite spezzate. Dall’incuranza. Dall’ignoranza.  L’aridità del silenzio che senti sotto le urla. Una notte gelida, di ghiaccio. Il non riuscire a capire che stava finendo tutto.

STOP! Non occorre assolutamente aggiungere altro. Il ricordo resta vivo per consentire a chi resta, di recepirne l’importanza. Di punire l’incuranza. All’inizio non lo sai. Lo temi. Lo fuggi.  Ma poi torna perché a volte ci pensi. Nonostante tutto, potete ancora dirvi “A domani”.

Per tutti coloro che il domani non ce l’hanno più.
Per tutti quelli che non hanno dormito sonni tranquilli.
Per tutti gli abruzzesi.

di Simona Aotti

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