L’autista, la tragedia e il dovere di affrontare la realtà
L’autista, la tragedia e il dovere di affrontare la realtà. Il Pm titolare delle indagini ha individuato come ipotesi di reato l’omicidio volontario
L’autista, la tragedia e il dovere di affrontare la realtà
L’autista, la tragedia e il dovere di affrontare la realtà. Il Pm titolare delle indagini ha individuato come ipotesi di reato l’omicidio volontario
L’autista, la tragedia e il dovere di affrontare la realtà
L’autista, la tragedia e il dovere di affrontare la realtà. Il Pm titolare delle indagini ha individuato come ipotesi di reato l’omicidio volontario
Si chiamava Raffaele Marianella, 65 anni, romano residente a Firenze.
Aveva una figlia che oggi non ha più un papà, era a poco dalla pensione, da un po’ di riposo e di vita più tranquilla dopo aver macinato decine di migliaia di chilometri per un’intera carriera d’autista.
A scorrazzare chi deve andare a lavorare, a divertirsi, a scoprire il mondo.
È stato ucciso nel modo più stupido e idiota che si possa immaginare per delle motivazioni che semplicemente non esistono.
Più si legge e si ascolta e più appare angosciante e surreale la tragedia dell’autista ucciso da un sasso lanciato da un criminale verso il pullman che trasportava un gruppo di tifosi di Pistoia, di rientro domenica sera dalla partita contro Rieti nella serie A2 di basket.
Ieri mattina avevamo invocato la massima severità, non per fare i draconiani, i super severi o quelli con la faccia feroce, ma per senso di giustizia e di civiltà.
Il Pm titolare delle indagini ha individuato come ipotesi di reato l’omicidio volontario. Ieri sera, tre persone sono state firmate, due trentunenni e un cinquantatreenne. Sarebbero tutti vicini a gruppi di estrema destra. Sin qui l’inchiesta, in attesa dell’eventuale rinvio del giudizio e del processo, quando ci sarà.
C’è tanto altro di cui parlare, però, perché ieri quando abbiamo chiesto ai nostri colleghi di capire cosa potesse essere accaduto e come potesse reagire il mondo dello sport e del basket in particolare a questa assurdità ci è capitato di imbatterci – perdonate la crudezza – nei soliti luoghi comuni, nelle solite frasi fatte.
Quelle sul “basket che non è così”, sulla “pallacanestro che non ha di questi problemi”, sugli “ultras che non vanno criminalizzati”. Solito armamentario.
Nessuno vuole criminalizzare intere categorie, ma non possiamo essere così ingenui da far finta di non sapere degli insulti, degli scontri verbali e fisici nel palasport di Rieti poco prima della tragedia.
In quegli episodi c’è l’origine della follia e quei soggetti vanno alla partita per fare proprio quello.
Appartengono a determinati gruppi e dobbiamo finirla di cercare sempre di lisciare il pelo a qualcuno. Per farlo, basterebbe pensare a quella figlia.
Di Fulvio Giuliani
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