Lavoro e rispetto, non “trattativa”
| Cronaca
La cattura di Matteo Messina Denaro, avvenuta trent’anni dopo il blitz che incastrò Toto Riina, è un evento storico, frutto del duro lavoro di donne e uomini per la giustizia. Non può essere sporcato da oscure teorie.

Lavoro e rispetto, non “trattativa”
La cattura di Matteo Messina Denaro, avvenuta trent’anni dopo il blitz che incastrò Toto Riina, è un evento storico, frutto del duro lavoro di donne e uomini per la giustizia. Non può essere sporcato da oscure teorie.
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Lavoro e rispetto, non “trattativa”
La cattura di Matteo Messina Denaro, avvenuta trent’anni dopo il blitz che incastrò Toto Riina, è un evento storico, frutto del duro lavoro di donne e uomini per la giustizia. Non può essere sporcato da oscure teorie.
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Figuriamoci se potevamo risparmiarci la retorica sulla “trattativa”, già cinque minuti dopo la notizia della cattura del sanguinario boss mafioso Matteo Messina Denaro. Del resto, trent’anni dopo il blitz che portò all’arresto di Totò Rina, in molti continuano a sostenere la teoria dei punti oscuri, del covo non perquisito, delle mani e manine che avrebbero aiutato in cambio di.
Per certi aspetti è inevitabile, frutto di una sfiducia nello Stato – atavica, oseremmo dire – che francamente colpisce di più (e fa male) nel giorno di una vittoria clamorosa e così a lungo attesa.
Non sosteniamo non siano esistiti corrotti, “zone grigie”, collusioni, contatti e coperture, anzi li diamo per scontati nel cercare di comprendere tre decenni di latitanza altrimenti inspiegabili. Riteniamo, piuttosto, che tutto questo sia finito perché la mafia – come ogni fenomeno umano – è in continua evoluzione. Matteo Messina Denaro era il più alto rappresentante, l’ultimo padrino in libertà delle cosche stragiste, dell’ala corleonese che dichiarò guerra allo Stato con gli omicidi eccellenti e le bombe. Una mafia, non è necessario essere degli esperti del fenomeno per sostenerlo, morta e sepolta. A vantaggio di una realtà malavitosa diversa e sempre pericolosissima, dalle tattiche e dagli interessi profondamente cambiati da allora. Di sicuro molto meno interessata a difendere un boss ormai ingombrante e fuori dal tempo.
È insensato, invece di analizzare la realtà, straparlare di “trattative“, di favori molto presunti e assai inascoltabili dello Stato ai delinquenti per arrivare al boss, di “papielli”, “pizzini” o dell’immancabile intervista al delinquente più o meno pentito che sapeva tutto e aveva previsto tutto. Roba da romanzo facile-facile, mentre un successo del genere è frutto di anni di lavoro certosino, oscuro, faticosissimo e pericoloso. Molto poco 007 e tantissima analisi di segnali e indizi anche impercettibili.
L’invito è a lasciar perdere le facili tentazioni sui misteri da film e concentrarsi sul tanto che ancora c’è da capire e scoprire sulla rete di connivenze e del nuovo potere mafioso, evitando – come abbiamo ascoltato stralunati ieri sera – il solito e impresentabile rinfacciarsi fra destra e sinistra di meriti e responsabilità. Uno spettacolo irrispettoso del lavoro delle donne degli uomini che hanno assicurato alla giustizia dello Stato Matteo Messina Denaro.
di Fulvio Giuliani
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