Legge del mare
| Cronaca
L’ennesima tragedia di migranti in Grecia ci impone una riflessione come comunità su quella che viene definita “Legge del mare” e il suo oblio

Legge del mare
L’ennesima tragedia di migranti in Grecia ci impone una riflessione come comunità su quella che viene definita “Legge del mare” e il suo oblio
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Legge del mare
L’ennesima tragedia di migranti in Grecia ci impone una riflessione come comunità su quella che viene definita “Legge del mare” e il suo oblio
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Sconvolti dall’ultima tragedia dei migranti, ma anche assuefatti all’orrore, vorremmo provare a riflettere su cosa stia accadendo a noi tutti. Intesi come comunità, Paesi, ma anche ben oltre i singoli confini di ciascuna nazione.
Non è necessario aver dimestichezza con la navigazione per aver sentito parlare chissà quante volte della “Legge del mare”. Sarà capitato leggendo romanzi, saggi, articoli di giornale. Quella legge in base alla quale – prima di qualsiasi altra considerazione, domanda o interrogativo – resta preciso dovere di chiunque sia in condizione di farlo salvare vite in pericolo fra le onde. Lo abbiamo anche scritto nel diritto internazionale, ma è un dato di fatto – oseremmo dire un principio sacro – che risale alla notte dei tempi.
A molto prima che si stilassero i codici della navigazione, quando l’uomo cominciò ad avventurarsi per mare, procedendo prima rigorosamente sottocosta e poi affrontando l’ignoto spingendosi al largo. Al mare abbiamo pagato da sempre un altissimo tributo, per la nostra sete di conoscenza e progresso. Per secoli la nostra civiltà occidentale ha visto nelle Colonne d’Ercole il proprio confine invalicabile. In mare.
Che oggi, diverse centinaia di anni dopo e con a disposizione una tecnologia magnifica, l’uomo rischi di dimenticare la “Legge del mare“ è inconcepibile. Nessuno punta il dito o cerca frettolosamente colpevoli da additare al pubblico, ma è un fatto che nelle ultime due spaventose tragedie di migranti nel Mediterraneo si sia scelto di aspettare, di vedere dove quei barconi semiaffondati provassero a dirigersi.
Ci si è accontentati del formalismo del “mancato Sos”, come se un rottame alla deriva, senza comandante ed equipaggio, fosse assimilabile a un qualsiasi natante in difficoltà. Si è perso tempo, non si è obbedito alla “Legge del mare”. Nell’angosciante scaricabarile che è seguito a Cutro e al naufragio al largo del Peloponneso ognuno ha una motivazione burocratica a cui aggrapparsi, ma nessuno sfugge alla realtà di donne, bambini e uomini lasciati alla mercé delle onde.
Abbiamo visto e sapevamo tutto, non c’è molto da aggiungere. Se non, forse, che abbiamo persino smesso di commuoverci: a Cutro le onde ci hanno sbattuto in faccia i resti della tragedia. In quest’ultimo caso tutto è avvenuto dove il Mediterraneo arriva a oltre 5mila metri di profondità. Un abisso, come quello che si sta spalancando sotto gli uomini che rinnegano sé stessi.
di Fulvio Giuliani
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