L’Italia ha rinunciato ai propri pozzi di gas
L’Italia ha rinunciato ai propri pozzi di gas
L’Italia ha rinunciato ai propri pozzi di gas
La guerra in Ucraina ha riportato l’Europa e l’Italia in uno stato di preallarme non solo militare. Siamo stati messi di fronte a varie vulnerabilità, in particolare alla dipendenza energetica. L’Europa consuma 430 miliardi di m³ l’anno di gas, la Ue ne importa dalla Russia 190 miliardi l’anno, circa il 45% della necessità energetica. Nel caso di blocco dei gasdotti russi non possiamo fare affidamento sulle energie rinnovabili, non c’è tempo per costruire nuove centrali nucleari e la riattivazione di quelle a carbone è poco fattibile e mal voluta, vista la recente dismissione negli anni 2020/21 per le questioni climatiche. La soluzione più immediata è quella di acquistare gas da altri Paesi. Attualmente vengono utilizzati a pieno flusso i gasdotti da Turchia, Azerbaigian, Marocco, Algeria, Tunisia e Libia.
È possibile anche importare gas liquefatto (Gnl) tramite metaniere da Stati Uniti, Qatar e Australia. Il suo utilizzo necessita di un’adeguata capacità di rigassificazione (cioè riportare il gas dallo stato liquido a quello aeriforme) ma l’Unione europea non possiede però abbastanza impianti di questo tipo, che sono presenti solo in Spagna, Francia e Italia. Nell’arco di un anno i rigassificatori potrebbero aumentare la propria attività fino a 24 miliardi di m³ ciascuno. Secondo un’analisi fornita da Wood Mackenzie (gruppo di ricerca e consulenza nel settore dell’energia), l’Europa avrebbe infatti la capacità di sostituire le forniture del gas russo con il Gnl. Il problema sta nei costi elevati e nei contratti di rifornimento che sono già stipulati a lungo termine e non modificabili. Solo gli Usa si sono impegnati a fornirci altri 15 miliardi di m³ di Gnl, abbastanza ma non sufficienti.
Ma veniamo all’Italia. Nel 2021 abbiamo usato circa 75 miliardi di m³ di gas, 33 miliardi di questi importati dalla Russia e solo 5 miliardi estratti localmente. Una dipendenza inaccettabile visto che solo vent’anni fa estraevamo autonomamente 30 miliardi di m³ l’anno. Nel sottosuolo italiano ci sono infatti oltre 90 miliardi di m³ di metano, soprattutto in Adriatico e Basilicata. Attualmente i giacimenti attivi sono circa 1.300 ma quelli che vengono realmente utilizzati sono soltanto 500. Gli impianti sono obsoleti e non più utilizzati perché bloccati da leggi, ricorsi, divieti. A questo si è aggiunto il Piano regolatore introdotto nel 2018 dal governo Conte che sostanzialmente ha bloccato lo sfruttamento dei giacimenti nazionali.
A essere del tutto incomprensibile è il perché da decenni si sia deciso di acquistare a costi più elevati di quelli estrattivi. Infatti se i nostri impianti non fossero abbandonati a sé stessi il costo sarebbe di soli 5 centesimi al m³ contro i 50-70 centesimi a m³ del gas di importazione: 10 volte di meno. Certo, adesso occorrerebbe investire per riattivare i vecchi impianti e sfruttare i nuovi giacimenti in Sicilia, Emilia Romagna e Mar Ionio. Milioni di euro a cui bisogna aggiungere quelli per aumentare e rimettere in funzione i siti di stoccaggio. Il tutto però costituirebbe un investimento, un valore aggiunto per le imprese italiane e per la lotta contro le emissioni. Il problema è che abbiamo una sola estate davanti e che la scelta non è più solo economica ma strategica.
di Massimiliano Fanni CanellesLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche