L’indagine che a Milano ha portato all’arresto di 22 persone per evasione fiscale, associazione a delinquere e bancarotta non è l’ennesima storia di un manipolo di cinesi che evadono il fisco. E’ qualcosa di molto più complesso e che riguarda tutti noi. E’ una storia di una truffa ai danni dello Stato andata avanti per 20 anni e che ha toccato cifre mostruose: oltre 300 milioni di euro, tanti sono i soldi che l’erario avrebbe dovuto incassare.
Gli stessi magistrati che hanno condotto le indagini, nel corso della conferenza stampa che si è tenuta in Procura nel capoluogo lombardo, hanno espresso preoccupazione per un modus operandi “che si presenta in forme sempre più allarmanti per dimensioni e per la capacità di perfezionare i sistemi di schermatura utili a non farsi scoprire”. Forme sempre più sofisticate, che gli inquirenti non hanno esitato a paragonare a operatori bancari veri e propri. Un meccanismo intelligente e complesso da spiegare. Basti sapere che la banda operava tramite cooperative costituite ad hoc attive nel settore della logistica e del facchinaggio e fatte fallire a momento debito. I soldi uscivano dall’Italia, tramite fatture false, per approdare in Cina e in un secondo momento rientrare in Italia.
Un danno economico per le aziende che operano e operavano nel settore in maniera onesta. Molte infatti non ce l’hanno fatta per via di una concorrenza sleale che trattava i lavoratori delle cooperative come un prodotto, dove il “costo” per dipendente era più basso per via delle omissioni nei versamenti contributivi. I magistrati hanno colto l’occasione per lanciare una sorta di appello: l’auspicio è che una parte del PNRR venga utilizzata per ammodernare i sistemi informatici, ancora poco dialoganti fra loro. Proprio la tecnologia è stato lo strumento che ha di fatto scoperchiato il vaso di Pandora. Nei cellulari dei sospettati è stato inserito il virus Trojan che ha permesso non solo di leggere le loro chat e scambi all’interno degli smartphone ma anche di ascoltare le loro conversazioni live grazie alle intercettazioni ambientali.
Di Ilaria Cuzzolin
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