Un coltello nella piaga
Un coltello nella piaga
Un coltello nella piaga
Partiamo da un fatto di cronaca, uno dei tanti. A Cagliari uno studente di 15 anni è stato accoltellato all’esterno dell’Istituto superiore Sergio Atzeni da un giovane di 14 anni. Trasportato d’urgenza con l’elisoccorso, ha subìto gravi lesioni all’arteria del collo. L’accoltellatore è stato fermato dai carabinieri. Come ogni giorno, i due studenti si stavano recando alla fermata dell’autobus. All’improvviso il quattordicenne ha estratto il coltello e ha ferito il compagno fra il petto e il collo. Motivo dell’aggressione? Forse un litigio, ma non è questo che ci interessa indagare. Né ci interessano le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, che auspica che «quanto prima il Parlamento approvi il disegno di legge sul voto in condotta e sulle misure riparative».
Scusate, ma a me sembrano le solite chiacchiere. Da millenni sappiamo che uccidere rientra nella sfera dei peccati mortali eppure si uccide (o si tenta di farlo) ogni giorno. Il problema è che oggi noi adulti non sappiamo (o non vogliamo) leggere fra le righe di ciò che i nostri figli cercano di comunicare. Perché noi stessi non sappiamo più comunicare. Gli esseri umani escogitano infiniti modi di comunicazione e i ragazzi, sempre più giovani di età, fanno di tutto per comunicare il loro malessere. Però noi adulti non sappiamo leggere quei segnali, non sappiamo capire in quanti modi ci parla l’umano. Siamo spesso sopraffatti dalle emozioni e – come dice il mio amico Stefano Vicari, neuropsichiatra infantile al Bambino Gesù di Roma – «in questi momenti siamo troppo coinvolti per riuscire a comprendere e ascoltare».
Il quadro è devastante: autolesionismo, ansia scolastica, disforia di genere, disturbi alimentari, depressione, atti di violenza da parte di ragazze e ragazzi sempre più giovani. Non ascoltiamo, anche perché troppo spesso non parliamo. Non soltanto in famiglia, dove per mille motivi – anche molto pratici – i genitori sono figure sempre più assenti e distanti. Ma anche a scuola, laddove regna spesso un’‘ignoranza’ dell’ascolto, finalizzato soltanto al voto in condotta e alle misure riparative. Per far rinascere la speranza nei nostri adolescenti confusi e spesso alla deriva dobbiamo sforzarci – famiglia, scuola e istituzioni – a leggere le tante, infinite sfumature di una richiesta di aiuto lanciata a volte nel modo più estremo e drammatico, con un agire dirompente che prende il posto proprio di quelle parole mancanti e negate.
di Andrea PamparanaLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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