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Milano statue

Milano e le statue in pericolo, ora tocca a Omodeo

In Italia il fenomeno di accanirsi contro le statue è meno diffuso che negli Stati Uniti, ma c’è un’eccezione importante: Milano

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Milano e le statue in pericolo, ora tocca a Omodeo

In Italia il fenomeno di accanirsi contro le statue è meno diffuso che negli Stati Uniti, ma c’è un’eccezione importante: Milano

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Milano e le statue in pericolo, ora tocca a Omodeo

In Italia il fenomeno di accanirsi contro le statue è meno diffuso che negli Stati Uniti, ma c’è un’eccezione importante: Milano

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In Italia il fenomeno di accanirsi contro le statue è meno diffuso che negli Stati Uniti, ma c’è un’eccezione importante: Milano

Le statue sono in perenne pericolo. In nome del politicamente corretto ne sono state abbattute parecchie centinaia. In Italia il fenomeno è meno diffuso che negli Stati Uniti, ma c’è un’eccezione importante: Milano. Qui la statua di Indro Montanelli, collocata nel giardino dove il giornalista venne gambizzato dalle Brigate Rosse, è costantemente oggetto di imbrattamenti, vandalizzazioni, scritte offensive, richieste di rimozione.

Però Milano non si accontenta. Abbattere statue già presenti nello spazio pubblico non basta. Ora è tempo di occuparsi anche delle statue future, che potrebbero essere collocate in qualche parte della città. Occorre prevenire, non solo sopprimere. È successo nei giorni dopo Pasqua con una statua di bronzo della scultrice Vera Omodeo, scomparsa recentemente all’età di quasi 100 anni. L’opera, intitolata “Dal latte materno veniamo”, rappresenta una madre che allatta un neonato. I figli avevano deciso di donarla al Comune di Milano, proponendo di collocarla in Piazza Eleonora Duse. Ma la Commissione preposta a valutare la domanda, composta da esperti del Comune e della Soprintendenza, ha detto no. Motivazione? La statua possiederebbe «sfumature squisitamente religiose» e rappresenterebbe «valori certamente rispettabili ma non universalmente condivisibili da tutti i cittadini».

La storia è paradossale e infatti, contro la bocciatura della Commissione, si sono levati un po’ tutti: esponenti della destra, politici di sinistra, associazioni femminili e – sia pure con qualche cautela – anche il sindaco di Milano Beppe Sala. Qualcuno ha anche osservato che, stante la clamorosa sottorappresentazione di figure femminili fra le statue di Milano, la scelta era del tutto ragionevole. E avrebbe reso omaggio a una scultrice con una storia di vita e di impegno commovente, per tanti aspetti esemplare. Malata in giovinezza di nefrite, i medici le avevano detto che non avrebbe potuto avere figli: ne partorì sei. All’età di cinquant’anni riprese gli studi giovanili all’Accademia di Brera, passando dalla pittura alla scultura con la creta e infine a quella con il bronzo, occupandosi di tutte le fasi della produzione (comprese le limature e le patine finali) tradizionalmente affidate agli uomini. I figli e le figlie ne ricordano la determinazione, la generosità e l’indifferenza a qualsiasi riconoscimento pubblico. Fu lei a realizzare il portale di Santa Maria della Vittoria, vicino alle Colonne di San Lorenzo, il primo portale mai realizzato da un’artista donna. Insomma, difficile immaginare un personaggio e un’opera con le carte più in regola per un riconoscimento pubblico. Eppure no, la Commissione ha bocciato la proposta di porre la statua “Dal latte materno veniamo” in una piazza di Milano.

Perché? Chi mai potrebbe offendersi alla vista della figura più universale che si possa immaginare, quella di una madre che allatta il suo bambino? Possibile che, dopo mille lotte delle donne e a sostegno delle donne, la statua che rappresenta una madre nel suo gesto più naturale possa scandalizzare qualcuno? Chi è questo qualcuno? Come siamo arrivati a tanto?

Una possibile risposta è che i funzionari della Commissione del Comune di Milano abbiano voluto tutelare la sensibilità delle donne che non possono o non vogliono avere figli. Un’altra è che abbiano pensato che la figura della madre che allatta rimandi a quelle della Madonna con il bambino e che ciò possa turbare le comunità di altra religione. Ma la spiegazione più plausibile è forse un’altra. In realtà i funzionari del Comune di Milano potrebbero – in un rigurgito di vissuti patriarcali – aver inteso proteggere i maschi. Associare il gesto dell’allattamento a una figura femminile esclude infatti automaticamente i maschi e, fra i maschi, la più aggressiva delle minoranze protette di questi tempi, ovvero i maschi che si vivono come femmine o che sono impegnati in una transizione da maschi a femmine (i cosiddetti trans MtF).

Non tutti lo sanno, ma da tempo esiste una componente della cultura woke che teorizza che anche i maschi possono allattare (grazie a farmaci che inducono la lattazione, non senza rischi per il neonato), anzi che hanno il pieno diritto di farlo; che si può essere donne pur essendo nati maschi; che la maternità non ha nulla a che fare con il parto; che mamma è chi alleva il bambino, non chi lo partorisce. E, naturalmente, la logica conclusione di tutto: non c’è nulla di male se i maschi commissionano la gravidanza alle donne e – grazie a farmaci come il Peridon – provano ad allattare essi stessi i bambini che vere donne hanno messo al mondo.

In questo senso, la vicenda di Milano è illuminante. Essa mostra nel modo più vivido che il femminismo storico – se non è morto, come alcune femministe sostengono – è quantomeno sotto scacco. Sopraffatto dalla prepotenza dei maschi, dei trans MtF, delle transfemministe e del cosiddetto femminismo ‘intersezionale’, non ha più nemmeno la forza di portare a casa il minimo sindacale: far mettere in Piazza Duse “Dal latte materno noi veniamo”, una delle statue più belle di Vera Omodeo.

di Luca Ricolfi

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