Napoli, la memoria e il terrore del terremoto
Napoli, la memoria e il terrore del terremoto. Gli sciami sismici nella notte fra ieri e mercoledì hanno riportato alla mente l’esperienza traumatica vissuta il 23 novembre 1980
Napoli, la memoria e il terrore del terremoto
Napoli, la memoria e il terrore del terremoto. Gli sciami sismici nella notte fra ieri e mercoledì hanno riportato alla mente l’esperienza traumatica vissuta il 23 novembre 1980
Napoli, la memoria e il terrore del terremoto
Napoli, la memoria e il terrore del terremoto. Gli sciami sismici nella notte fra ieri e mercoledì hanno riportato alla mente l’esperienza traumatica vissuta il 23 novembre 1980
Napoli, la memoria e il terrore del terremoto. Gli sciami sismici nella notte fra ieri e mercoledì hanno riportato alla mente l’esperienza traumatica vissuta il 23 novembre 1980
Napoli, la memoria e il terrore del terremoto. Questo è uno di quei casi in cui bisogna averlo vissuto per capire. Il terremoto, nelle sue versioni più violente e devastanti, è qualcosa che ti resta dentro per tutta l’esistenza. Chi ha provato la sensazione assoluta di impotenza e vulnerabilità. Chi si è sentito insignificante davanti alla potenza indifferente di madre terra non cancellerà mai questo insieme di emozioni dal proprio subconscio.
Da mesi, ormai, raccontiamo dei fenomeni vulcanici legati all’area dei Campi Flegrei, la zona alle porte di Napoli che va da Pozzuoli a Capo Miseno e che nei secoli non ha mai smesso di segnalare la sua attività. Ce ne sono di continui e relativamente innocui (alcuni dei quali abbiamo trasformato in attrazioni turistiche come la Solfatara) e quelli di ben altro impatto.
C’è il bradisismo, il ciclico lento innalzamento e abbassamento della terra caratteristico di Pozzuoli dalla notte dei tempi e che negli anni Ottanta spinse alla costruzione della new town di Monteruscello. L’idea era quella di trasferirvi parte della popolazione di Pozzuoli, realizzando un raro esempio di bruttura architettonica e sociale, nonché un’occasione per affari non sempre limpidi. Poi, gli sciami sismici come quello attualmente in corso e che nella notte fra ieri e mercoledì ha terrorizzato Napoli.
Ecco, non appaia eccessivo scrivere “terrorizzato” e bisogna capire perché. Chi c’era, il 23 novembre 1980 visse un’esperienza che definire traumatica è poco. In quegli interminabili 90 secondi – provate a contarli e immaginate che nulla sotto i vostri piedi resti fermo – il terremoto raggiunse magnitudo 6,9 (ieri ha toccato la ragguardevole quota di 4,4), pari al 10’ grado dell’empirica scala Mercalli. Il sisma falciò l’Irpinia provocando quasi 3000 morti e assestò un colpo devastante anche a Napoli. In città morirono 52 persone nel crollo di un palazzo di 9 piani e i danni materiali e psicologici furono incalcolabili.
Il terremoto può essere il panico assoluto, la perdita di controllo di sé, delle proprie emozioni, della capacità razionale. Questo fu il 23 settembre 1980 e ti resta dentro. Lo riporto come esperienza personale, vissuta in una delle zone collinari di Napoli. Perché la paura ha un sapore e un odore. Nel caso del terremoto, è anche un rumore cupo e sordo, che ti inseguirà per tutta la vita. È quel bagliore rossastro nel cielo alle 19:34 del 23 novembre 1980 e non puoi dimenticarlo. Neppure se ci provi.
Il terremoto è tanto altro, a cominciare dalla consapevolezza che, 45 anni dopo quel sisma apocalittico, ai Campi Flegrei siamo più o meno dove eravamo allora. Abbiamo molto parlato, tantissimo temuto. Abbiamo litigato sui piani di evacuazione che ci sono e non sappiamo se possano funzionare, le prove a cui non va nessuno, i richiami sempre uguali di geologi e vulcanologi.
Siamo tutti lì, tiriamo fuori tutto a ogni scossa più violenta e poi torniamo semplicemente a sperare che la vera botta non arrivi mai.
Di Fulvio Giuliani
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