Come funziona la ‘ndrangheta
Come funziona la ‘ndrangheta
Come funziona la ‘ndrangheta
Dunque, il boss dei boss, il capo di Cosa nostra, l’ultimo epigono dei Corleonesi, la super primula rossa, il latitante da trent’anni – Matteo Messina Denaro – sarebbe stato protetto e nascosto in fatiscenti casolari sulle montagne calabresi, sotto l’ala protettrice niente di meno che della ‘ndrangheta. Bene, i casi sono due: o non è vero che Matteo Messina Denaro era tutto questo iradiddio di capo, oppure questa è la certificazione finale che oggi Cosa nostra ha lasciato la primazia del crimine ai dirimpettai calabresi.
Ma come funziona la ‘ndrangheta? Qual è la sua forza intrinseca che in pochi anni l’ha collocata al vertice della criminalità organizzata in Italia, superiore e addirittura controllante la stessa mafia siciliana, la camorra napoletana, per non dire della sua influenza a livello internazionale (in Canada, Australia e in gran parte dell’Europa, in particolare Olanda, Belgio e Germania)? L’elemento più importante è certamente il vincolo familiare, perché ogni ‘ndrina si fonda su un ferreo vincolo di sangue. L’organo di governo della ’ndrangheta, quello che per Cosa nostra era la cosiddetta “cupola”, è costituito dai rappresentanti dei tre “mandamenti”, identificazione geografica dei poteri che la formano: tirrenica, jonica e Reggio Calabria città. Naturalmente la ‘ndrina è la cellula base composta da individui tra loro imparentati anche attraverso matrimoni concordati. Più ‘ndrine formano un “locale”, con almeno 49 affiliati, comandato da un cosiddetto “capolocale”. I “locali” periodicamente si ritrovano – sia quelli in Italia che quelli all’estero – nella “camera di consiglio”, luogo deputato a dirimere eventuali controversie.
Una realtà molto più pericolosa e ramificata di quanto si possa immaginare, non più fenomeno del Sud d’Italia ma anche del Centro e del Nord produttivo. Viaggiano molto ma tornano sempre a casa, pronti a ripartire. Oggi a San Luca, domani a Caracas. Muovono milioni, sanno dove e come lavare e riciclare gli ingenti proventi degli illeciti traffici di droga (cocaina e pasticche, ma ora sta tornando sul mercato anche l’eroina), di armi (soprattutto dai Paesi dell’Est Europa), di rifiuti tossici e delle attività edili. Non esiste una regia unitaria, un capo dei capi, ma una chiusa rete di mutuo soccorso fra le famiglie. Ogni tanto viene arrestato un capo: l’ultimo di primo livello è stato Rocco Morabito, latitante da anni. Ma è soltanto un pesce grosso preso all’amo mentre il mare pullula di tanti altri boss come lui.
di Andrea PamparanaLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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