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Nino Benvenuti e la ‘sua’ Italia a cui dire grazie

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Nino Benvenuti era uno di quelli per cui il sacrificio non fu una parola astratta. In quell’epoca ruggente seppe metter giù il testone e rendere ricco e moderno questo Paese

Nino Benvenuti

Nino Benvenuti e la ‘sua’ Italia a cui dire grazie

Nino Benvenuti era uno di quelli per cui il sacrificio non fu una parola astratta. In quell’epoca ruggente seppe metter giù il testone e rendere ricco e moderno questo Paese

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Nino Benvenuti e la ‘sua’ Italia a cui dire grazie

Nino Benvenuti era uno di quelli per cui il sacrificio non fu una parola astratta. In quell’epoca ruggente seppe metter giù il testone e rendere ricco e moderno questo Paese

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Perché Nino Benvenuti è stato ricordato con così tanto affetto da italiani che non l’hanno mai visto combattere e che non erano neppure nati quando, per esempio, salì sul gradino più alto del podio di Roma 1960?

Oltre la naturale simpatia, le comparsate televisive che potranno ricordare i quarantenni e cinquantenni o altri aspetti pop, crediamo perché nei suoi racconti e nella sua carriera si rispecchiava un’Italia a cui vogliamo molto bene.

Chi l’ha vissuta, per motivi scontati e incentrati sui ricordi degli anni della giovinezza e dei tempi delle grandi speranze. Coloro che sono arrivati dopo, invece, provano (o dovrebbero provare… ) la gratitudine che dobbiamo a chi in quell’epoca ruggente seppe metter giù il testone e rendere ricco e moderno questo Paese.
Per consegnarlo alle nostre generazioni.

Nino Benvenuti era uno di loro, un ragazzo cresciuto con i racconti della guerra e le privazioni del dopoguerra. Uno di quelli per cui il sacrificio non fu una parola astratta, un principio da richiamare in un talk show dei giorni nostri, ma pratica quotidiana di una vita fatta di poche cose. Letteralmente.

Nino era uno di quelli che era arrivato in cima al mondo senza staccare i piedi da terra e l’Italia l’aveva raccontata così, nei lunghi anni della meritata raccolta di quanto seminato da pugile sul ring.

Certo, poi c’è lo sport. C’è il titolo mondiale, le vittorie storiche, le nottate, le sconfitte famose quasi quanto i successi, ma tutto questo non l’avremmo potuto apprezzare fino in fondo e ancor meno ricordare se non ci fosse stato il resto.

C’è il piacere del ricordo, ma anche molta malinconia nel veder ingiallire l’Italia di allora e i suoi protagonisti.
Scriverne con rispetto è una minima parte del dovere che sentiamo di avere come testimoni.

Di Fulvio Giuliani

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