Non manipoliamo la storia del 25 aprile
La terribile guerra che insanguinò l’Italia dal 1943 al 1945, paradossalmente, è tra le realtà meno studiate a scuola. Il più grande lascito del 25 aprile dovrebbe essere l’approdo a una visione condivisa, a cominciare dalle responsabilità storiche del nostro Paese.
| Cronaca
Non manipoliamo la storia del 25 aprile
La terribile guerra che insanguinò l’Italia dal 1943 al 1945, paradossalmente, è tra le realtà meno studiate a scuola. Il più grande lascito del 25 aprile dovrebbe essere l’approdo a una visione condivisa, a cominciare dalle responsabilità storiche del nostro Paese.
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Non manipoliamo la storia del 25 aprile
La terribile guerra che insanguinò l’Italia dal 1943 al 1945, paradossalmente, è tra le realtà meno studiate a scuola. Il più grande lascito del 25 aprile dovrebbe essere l’approdo a una visione condivisa, a cominciare dalle responsabilità storiche del nostro Paese.
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La terribile guerra che insanguinò l’Italia dal 1943 al 1945, paradossalmente, è tra le realtà meno studiate a scuola. Il più grande lascito del 25 aprile dovrebbe essere l’approdo a una visione condivisa, a cominciare dalle responsabilità storiche del nostro Paese.
La guerra di liberazione dal nazifascismo, la Resistenza, la terribile guerra civile che insanguinò l’Italia fra il 1943 e il 1945 sono fra le realtà meno studiate (a scuola, intendiamo) del dopoguerra. Un apparente paradosso, considerata la grancassa e le polemiche che hanno sempre accompagnato il 25 aprile. È sufficiente, però, tornare con la memoria ai nostri anni scolastici per capire di che cosa stiamo scrivendo. Spieghiamo, ricordiamo, in modo da generare gli anticorpi che sono il fondamento di una società evoluta, in cui la democrazia sia conquista da tutlare giorno per giorno.
Di quei mesi da incubo, vissuti dall’Italia dopo la caduta del fascismo il 25 luglio 1943, l’armistizio siglato con gli Alleati – annunciato e gestito nel modo peggiore possibile l’8 settembre successivo – fino alla “macelleria messicana” di Piazzale Loreto, abbiamo avuto per anni una lettura parziale e di comodo. Pesantemente influenzata dalla politica democristiana che resse l’Italia dopo il secondo conflitto mondiale, negli anni ruggenti del boom e del miracolo economico, ma permeata dall’indiscutibile egemonia culturale di sinistra. Nulla che oggi non venga dato per acquisito (non ci sono solo i libri di Giampaolo Pansa a testimoniarlo), ma che per decenni ha definito la lettura della Resistenza e dello stesso 25 aprile. Al punto che la mia generazione è venuta su con l’idea che avessimo ‘pareggiato’ la Seconda guerra mondiale e che la Resistenza ci avesse fatto diventare sostanzialmente alleati degli Alleati, se non proprio dei vincitori.
Del resto, il nostro stesso posizionamento atlantista nel dopoguerra finiva per sostenere questa lettura semplificata e mistificata della Resistenza. Frutto avvelenato di tutto ciò, l’incapacità di analizzare storicamente il fenomeno, finendo per polarizzare anni di dibattito fra una beatificazione acritica o una condanna senza appello e in una sovrapposizione altrettanto semplicistica della lotta partigiana al Partito comunista. Due sciocchezze uguali e contrarie, che hanno avvelenato i pozzi e impedito al nostro Paese di sviluppare una consapevolezza condivisa della propria storia. A cominciare dai nostri, terribili errori. Del resto, ce n’erano abbastanza da destinare all’oblio fra i tanti che si erano agilmente riciclati da fascisti ad anti, ma anche fra chi a sinistra aveva accarezzato la rivoluzione, si era fatto pagare da Stalin e piacevolezze varie.
Per decenni abbiamo ‘dimenticato’ la Resistenza di tanti soldati che onorarono il giuramento alla patria e al re – che si era infine risolto a dichiarare guerra al vecchio alleato nazista – e non al duce di ciò che restava del fascismo e alla sua cupa repubblica-fantoccio di Hitler, finendo per cancellare il sacrificio di migliaia di loro. A cominciare da quelli che non riuscirono a combattere al fianco degli anglo-americani perché rinchiusi nei campi di concentramento tedeschi, dopo essersi rifiutati di schierarsi con i fascisti. Se si ‘dimentica’ la Resistenza cattolica, azionista, repubblicana o al più la si dipinge come un corollario alla spina dorsale ‘rossa’, non è lecito meravigliarsi che il 25 aprile sia stato per un lunghissimo periodo una festa di parte. Al punto che, caduto il Muro e teoricamente superata la contrapposizione fra blocchi, chi tentò di vivere questa giornata come una ricorrenza infine nazionale fu inseguito dalle più spietate accuse di revisionismo, se non fisicamente cacciato dai cortei. Fallito il socialismo reale, paradossalmente in Italia il 25 aprile per taluni doveva restare la riserva indiana del comunismo che fu. La ridicolaggine in sé di questa pretesa potrebbe persino farci amaramente sorridere, se non finisse per replicare gli errori commessi a lungo e che qui abbiamo provato a sintetizzare.
Il più grande lascito del 25 aprile dovrebbe essere l’approdo a una visione condivisa, a cominciare dalle responsabilità storiche del nostro Paese. Realtà da tirar fuori da sotto il tappeto e illustrare ai nostri figli. Spieghiamo, ricordiamo, in modo da generare gli anticorpi che sono il fondamento di una società evoluta, in cui la democrazia sia conquista da tutelare giorno per giorno. Una società pronta a riconoscere le minacce all’orizzonte, come oggi di drammatica attualità.
di Fulvio Giuliani
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