Inevitabile, alla vigilia della giornata contro la violenza sulle donne, che si scatenasse la polemica sulla tragedia di Juana Loayza, la 34enne uccisa dal suo ex, condannato a due anni per atti persecutori proprio nei suoi confronti. Sorprende però che a intervenire sul tema sia anche la presidente del Tribunale di Reggio Emilia, città in cui l’omicidio si è consumato, che sembra voler rispondere a un dibattito in cui però l’organo giudicante non dovrebbe entrare.
Dice Cristina Beretti che «un giudice non ha poteri di chiaroveggenza». Serviva spiegarlo? Penso di no. Eppure proprio quella precisazione suona come una difesa stonata, perché inevitabilmente chiama a sé una replica sul fatto che se un uomo perseguita una donna una volta è possibile che lo rifaccia.
Poi è vero, come precisa, che un giudice quando emette una sentenza non «può sapere cosa avverrà dopo». Ma allora a che servono tutte le misure di controllo? Quelle come, ad esempio, il divieto di avvicinamento che viene sistematicamente violato? Non si può prevedere il futuro, non lo possono di certo fare neanche i magistrati. Quello che si può fare è però agire con buonsenso. Anche quando si tratta di scegliere se parlare oppure tacere.
Perché davanti a una morta anche questa difesa di chi non è affatto sotto accusa – in quanto l’omicida ha un nome e un cognome e la responsabilità è solo sua – appare fuori luogo. Stonata, quanto meno.
Perché il punto, l’unico vero tema, dovrebbe essere cercare di fare il possibile per evitare che accada di nuovo.
di Annalisa Grandi
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