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Viva il presepe!

Il presepe non si impone e non si vieta, il presepe semmai si spiega. Si racconta perché in tante case i “pastori“ si siano tramandati
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Il presepe non si impone e non si vieta, il presepe semmai si spiega. Si racconta perché in tante case i “pastori“ si siano tramandati
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Il presepe non si impone e non si vieta, il presepe semmai si spiega. Si racconta perché in tante case i “pastori“ si siano tramandati
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Il presepe non si impone e non si vieta, il presepe semmai si spiega. Si racconta perché in tante case i “pastori“ si siano tramandati
La proposta di legge per vietare il divieto di presepe a scuola (avanzata da Fratelli d’Italia) è il classico provvedimento nato per cavalcare un sentimento e provare a normare – in modo quantomeno superfluo – aspetti della vita in comunità che è sempre meglio lasciare all’iniziativa privata e alla sensibilità delle persone. Chi scrive è napoletano, ama il presepe da sempre, una parte del Natale felicemente irrinunciabile. Sono un fiero erede della tradizione presepiale partenopea, insomma. Intendiamoci, non un granché… al massimo mi sono divertito a decorare qualche montagna di cartapesta o a realizzare dei modesti sfondi scenografici, eppure è sempre stato un modo anche di onorare il passato. Sia quello della mia città d’origine, in cui nel XVIII secolo il presepe assurse a vera e propria forma d’arte, sia familiare. Il presepe lo facevo con mio padre e – qui il discorso si fa interessante considerato il punto di partenza di questa breve riflessione – ho conosciuto poche persone più laiche o comunque poco interessate alla vita di Chiesa e ai dogmi come lui. Amava il presepe – lo ama tuttora – per storia e tradizione. Il presepe è la Natività, questo lo abbiamo imparato sin da bambini insieme alla storia della felice intuizione di San Francesco, ma è anche una materia perennemente plasmabile. Vivente. Come si vede in foto, nel Settecento a Napoli i grandi artisti trasformarono le rappresentazioni con al centro la nascita di Gesù (il trionfo sul paganesimo, tradizionalmente rappresentato da un tempio romano diroccato) in vere e proprie istantanee della vita di allora. Erano affreschi in 3D, diorami della Napoli borbonica, con il suo perenne ondeggiare fra i fasti di una corte all’epoca all’avanguardia in Europa e l’assoluta disperazione di una plebe abbandonata spesso alla miseria. Il presepe tradizionale napoletano è questo e ancora oggi non si commette alcun peccato di lesa maestà nel comprare la statuetta di Diego Armando Maradona, della regina Elisabetta o di Maurizio Costanzo insieme al pastorello, il mugnaio, la lavandaia, ma anche il pizzaiolo, il pescivendolo, l’imbroglione delle tre carte e così via. Il presepe non si impone e non si vieta, il presepe semmai si spiega. Si racconta perché in tante case i “pastori“ si siano tramandati di generazione in generazione. Magari scheggiati, incollati alla bell’e meglio, sono un po’ come le statuette dei Lari latini, le divinità della casa. Posseggo qualche personaggio del presepe da quarant’anni e mi hanno seguito in diverse città e diversi traslochi. Lasciamo libera le persone di scegliersi le proprie passioni, le tradizioni da onorare e magari abbandonare. C’è spazio per tutto e tutti, nel massimo rispetto di un pezzo di storia del nostro Paese. Buon Natale e ricordate che il bambinello nella mangiatoia va obbligatoriamente fatto porre al più giovane in casa… Viva il presepe! di Fulvio Giuliani La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!

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