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Quasi 20mila beni confiscati attendono un nuovo utilizzo

Quasi 42mila beni confiscati, di cui 19.871 ancora in gestione, cioè in attesa di un nuovo utilizzo. Sono i numeri impressionanti dell’ultimo report di Libera

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Quasi 20mila beni confiscati attendono un nuovo utilizzo

Quasi 42mila beni confiscati, di cui 19.871 ancora in gestione, cioè in attesa di un nuovo utilizzo. Sono i numeri impressionanti dell’ultimo report di Libera

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Quasi 20mila beni confiscati attendono un nuovo utilizzo

Quasi 42mila beni confiscati, di cui 19.871 ancora in gestione, cioè in attesa di un nuovo utilizzo. Sono i numeri impressionanti dell’ultimo report di Libera

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Quasi 42mila beni confiscati, di cui 19.871 ancora in gestione, cioè in attesa di un nuovo utilizzo. Sono i numeri impressionanti dell’ultimo report di Libera

Quasi 42mila beni confiscati, di cui 19.871 ancora in gestione, cioè in attesa di un nuovo utilizzo. Sono i numeri impressionanti dell’ultimo report di Libera (la rete di associazioni antimafia) sui beni sottratti alla criminalità organizzata in tutta Italia. Immobili, terreni, aziende di cui lo Stato ha preso il possesso sottraendoli ai clan. Un patrimonio enorme, dal grande valore simbolico ma soprattutto materiale, che però molto spesso rimane bloccato per anni e finisce in rovina divenendo un costo. A livello geografico il maggior numero di beni confiscati si trova in Sicilia, dove ci sono oltre 7mila immobili sottratti alla mafia. Seguono Calabria e Campania, con oltre 3mila beni mentre al Nord la cifra più elevata si trova in Lombardia con quasi 1.600 confische. Potrebbero essere destinati ad associazioni, alla gestione dell’emergenza abitativa, a progetti sociali. Solo che non sempre succede.

Intanto, fra il provvedimento di sequestro, quello di confisca e quello di assegnazione passano anni. E questo significa anni di abbandono, ville, case e interi palazzi che restano lì anche per un decennio. Che finiscono vandalizzati, occupati. Oppure che – quando va bene – semplicemente sono lasciati a loro stessi, cadendo a pezzi. Con il risultato che rimetterli a posto comporta un ulteriore sforzo economico. Fra l’altro nell’agosto del 2023 è stato cancellato dal Pnrr quello che avrebbe dovuto essere il più grande investimento di sempre per la valorizzazione di questi beni. Parliamo di 300 milioni di euro stanziati a fine 2021 e per i quali era stata già pubblicata la graduatoria di conferimento fondi agli Enti locali. Soldi spariti insieme ai progetti che con quei fondi avrebbero dovuto prendere vita.

Eppure parlare di beni confiscati e mostrare come vengono riutilizzati sarebbe un formidabile spot. Solo che, a fronte di tanti esempi virtuosi, ce ne sono altrettanti che virtuosi non lo sono affatto. C’è una categoria di immobili che risultano confiscati e che però di fatto non sono ancora nelle mani dello Stato: ville o interi palazzi – fatti costruire con soldi riconducibili alla criminalità organizzata – tuttora abitati da chi già ci viveva quando fu stabilita la confisca. Esempio concreto di come lo Stato fatichi a riprendere il possesso di ciò che in effetti dovrebbe essere diventato suo. Realtà complesse per cui servono risorse – in uomini e mezzi – che non ci sono. Ci sarebbe per questo l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, ma è una struttura relativamente giovane (istituita nel 2010) che non ha a disposizione gli strumenti necessari per far fronte all’enorme mole di beni confiscati negli ultimi anni. Per dare un’idea: nel 2015 erano intorno ai 13mila, oggi sono più che triplicati. È chiaro che sono necessarie misure diverse. Anche perché si tratta di un patrimonio immenso, che rappresenta la vittoria della legalità sull’illegalità. E che non può essere lasciato a marcire.

di Annalisa Grandi

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