Sarà una sfida. La terza dose del vaccino (seconda per chi sia stato vaccinato con il Johnson&Johnson, da cui molto probabilmente si partirà) possiamo darla per pressoché certa.
Lo abbiamo fatto su questo giornale già mesi fa, quando andava ancora di moda esercitarsi su ipotesi diverse e fuori dalla logica. Bene ricordare, a tal proposito, che la somministrazione delle terze dosi è già iniziata in Italia, coinvolgendo le fasce d’età più avanzate e le categorie fragili. Basterebbe questo per comprendere come gradualmente si amplierà la platea dei tri-vaccinati.
Se la logica della gradualità e la realtà di un virus che morde ancora non dovessero bastare, fanno fede le indicazioni delle autorità sanitarie statunitensi degli ultimi giorni e, nel nostro Paese, le parole inequivocabili del presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro. Perché parliamo di sfida, allora? Perché, esaurita la gigantesca spinta che ha portato decine di milioni di persone a vaccinarsi tra la primavera e l’estate, determinata dalla più che comprensibile ansia di riappropriarsi della propria vita, oggi la partita è chiaramente differente.
Anche non volendo soffermarsi sugli inevitabili effetti sull’opinione pubblica dello sconclusionato dibattito fomentato dai no-vax prima e no-pass poi, è intuitivo come risulti più complesso convincere della necessità di una terza dose le tante persone rassicurate da mesi di contagi sotto controllo e di apparente, totale normalità.
Non vogliamo neppure pensare a una spinta ai vaccini determinata da una brusca risalita dei contagi, come si sta sperimentando in altri Paesi europei. Eppure, proprio la loro esperienza deve fungere da monito: in base alle attuali evidenze, anche una vaccinazione oltre l’80% non ci mette a riparo da una recrudescenza del virus e da una lenta ma costante risalita di ricoveri e decessi.
L’effetto delle vaccinazioni si affievolisce – come previsto – mentre i primi freddi e l’allentarsi delle contromisure sociali fanno il resto. Ecco, allora, che risulterà fondamentale l’apporto della rete più formidabile che abbiamo a disposizione: quella dei medici di base e delle farmacie.
Tanto per cominciare informando e, se necessario, convincendo. In seconda battuta, fungendo da micro-hub vaccinali, da affiancare alla rete che ha dato splendida prova di sé per le prime e seconde dosi. Manco a dirlo, l’organizzazione dovrà restare centralizzata e affidata alla struttura coordinata dal commissario Figliuolo, perché “squadra vincente non si cambia”.
Le non rassicuranti notizie sui ritardi di ben 12 Regioni su 20 nella distribuzione del vaccino antinfluenzale sono un avvertimento: la battaglia è in pieno svolgimento, la stiamo vincendo, ma qualsiasi rilassamento potrebbe innescare cortocircuiti pericolosi.
di Fulvio Giuliani
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