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Sara Campanella, un’altra vita spezzata per un “no”

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Attenzioni insistenti che duravano da due anni. Attenzioni non ricambiate. Ci potrebbe essere questo dietro l’omicidio di Sara Campanella

Sara Campanella

Sara Campanella, un’altra vita spezzata per un “no”

Attenzioni insistenti che duravano da due anni. Attenzioni non ricambiate. Ci potrebbe essere questo dietro l’omicidio di Sara Campanella

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Sara Campanella, un’altra vita spezzata per un “no”

Attenzioni insistenti che duravano da due anni. Attenzioni non ricambiate. Ci potrebbe essere questo dietro l’omicidio di Sara Campanella

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Attenzioni insistenti che duravano da due anni. Attenzioni non ricambiate. Ci potrebbe essere questo dietro l’omicidio di Sara Campanella, la studentessa 21enne accoltellata e uccisa a Messina. Per il delitto è stato fermato con l’accusa di omicidio pluriaggravato il suo compagno di corso Stefano Argentino. Secondo la ricostruzione degli inquirenti il delitto potrebbe essere scaturito al culmine di una lite perché per l’ennesima volta lei avrebbe respinto quelle attenzioni sgradite che andavano avanti già da tempo. Lui non accettava il rifiuto, questo sarebbe in sostanza: l’avrebbe pedinata e poi al culmine della lite accoltellata alla gola.

Una ennesima brutta storia, i cui contorni andranno comunque ancora chiariti. Una giovane uccisa a 21 anni, una studentessa ammazzata perché un suo compagno di corso non poteva sopportare un rifiuto. Una storia che purtroppo riporta alla memoria altri drammatici omicidi, a cominciare da quello di Giulia Cecchettin. Perché Sarà, come Giulia, seppur esasperata, non aveva denunciato. Forse aveva sottovalutato la pericolosità della situazione come purtroppo tante volte ancora succede e come invece, non dovrebbe più succedere. Un’altra giovane vita spezzata solo per un “no”.

Un omicidio che dunque ripropone una dinamica purtroppo ricorrente: uomini incapaci di accettare un rifiuto che reagiscono con violenza estrema. Da quanto emerge, questo sembra praticamente un caso di scuola: il No vissuto come inaccettabile umiliazione, da punire in modo estremo. È una follia, ma non basta etichettarla come tale: ci si deve interrogare se ci siano stati segnali sottovalutati o richieste d’aiuto inascoltate. Una tragedia insopportabile come questa solleva ancora una volta dubbi sulla capacità delle istituzioni — scolastiche, sanitarie, giudiziarie — di intercettare e prevenire queste escalation.

Non si tratta solo di “un raptus”, ma di un’espressione brutale di un problema sistemico. Quanto a noi media, il linguaggio usato — “spasimante”, “delusione amorosa” — dovrebbe sapersi adattare a casi di cronaca nera come questi. Che non vanno, anche con le migliori intenzioni, riportati nell’alveo di delusioni o ferite sentimentali. È pura espressione di violenza cieca. E basta.

di Annalisa Grandi

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