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Scuola e disabilità, un tema di civiltà

La vicenda emersa a Milano in queste ultime ore pone un problema della massima serietà sul rapporto tra scuola e disabilità

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Scuola e disabilità, un tema di civiltà

La vicenda emersa a Milano in queste ultime ore pone un problema della massima serietà sul rapporto tra scuola e disabilità

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Scuola e disabilità, un tema di civiltà

La vicenda emersa a Milano in queste ultime ore pone un problema della massima serietà sul rapporto tra scuola e disabilità

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La vicenda emersa a Milano in queste ultime ore pone un problema della massima serietà sul rapporto tra scuola e disabilità

Non ci permetteremmo mai di esprimere giudizi frettolosi e ancor più ingenerosi, quando si tratta di accoglienza di ragazzi con disabilità grave nella scuola dell’obbligo. Sta di fatto che la vicenda emersa a Milano in queste ultime ore – i genitori di un adolescente affetto da una grave forma di autismo hanno denunciato di non essere riusciti a iscrivere il proprio ragazzo in 28 diverse scuole del capoluogo lombardo – pone un problema della massima serietà. Oltre a suscitare in chiunque non si giri dall’altra parte profonda angoscia.

La premessa è doverosa. Per le scuole è difficilissimo. Per gli insegnanti non adeguatamente formati semplicemente impossibile. E per tutti i soggetti coinvolti a vario titolo si tratta di una sfida quotidiana ai limiti delle capacità di ciascuno. A cominciare dai compagni di questi ragazzi così sfortunati, cui il loro calore umano può donare tanto ma non essere mai neppure lontanamente sufficiente. Soltanto un’assistenza continua e altamente specializzata può avviare a una vita scolastica, quanto più integrata possibile, ragazzi le cui peculiarità ed esigenze vanno conosciute nel dettaglio. Sapendo cosa fare e cosa non fare.

Tutto costa troppo e le famiglie finiscono per restare sole. Al netto della buona volontà che tanti dirigenti scolastici, professori, compagni e semplici cittadini non mancano mai di garantire. Davanti ai casi di disabilità più grave manca l’aria, pensando al dolore delle mamme e dei papà che vorrebbero soltanto poter regalare un po’ di normalità ai loro figli. Un’ombra di ciò che tutti noi consideriamo normale e scontato. Se facciamo così fatica a Milano, fra le grandi città la più ricca e strutturata d’Italia, cosa potrà accadere altrove?

Nessuno pretende di avere la risposta in tasca ma l’esperienza della famiglia milanese da cui siamo partiti suggerisce un ribaltamento delle responsabilità. O almeno dell’iniziativa necessaria a garantire il diritto scolastico di tutti i ragazzi. Invece della segnalazione degli istituiti maggiormente attrezzati a un’assistenza per casi di particolare gravità – come avvenuto nel caso preso in esame – cui poi le famiglie si devono rivolgere con il rischio di un esito sconfortante, sembrerebbe più logico e corretto che fosse il Provveditorato a prendersi carico delle situazioni più complesse, disponendo quanto dovuto.

Tenendo conto anche del problema del trasferimento dei ragazzi da casa a scuola e viceversa. Se trovo posto a chilometri di distanza dalla mia abitazione, la soluzione può essere solo apparente.

È una sfida gigantesca e ineludibile per una società che voglia dirsi civile e in grado di garantire un inserimento sempre più avanzato ai ragazzi. Che un tempo erano esclusi da tutto. Abbiamo fatto enormi passi in avanti e questo dobbiamo sempre ricordarlo ma oggettivamente non basta a garantire una socialità che fa bene a tutti: ai ragazzi meno fortunati, le loro famiglie, i compagni di classe.

Di Fulvio Giuliani

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