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Spioni e cialtroni

Il quadro che sembra emergere nella vicenda degli spioni che sarebbero stati scoperti a Milano riporta a una sensazione generale di cialtroneria di bassa lega

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Spioni e cialtroni

Il quadro che sembra emergere nella vicenda degli spioni che sarebbero stati scoperti a Milano riporta a una sensazione generale di cialtroneria di bassa lega

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Il quadro che sembra emergere nella vicenda degli spioni che sarebbero stati scoperti a Milano riporta a una sensazione generale di cialtroneria di bassa lega

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Il quadro che sembra emergere nella vicenda degli spioni che sarebbero stati scoperti a Milano riporta a una sensazione generale di cialtroneria di bassa lega

Il quadro che sembra emergere nella vicenda degli spioni che sarebbero stati scoperti a Milano riporta a una sensazione generale di cialtroneria di bassa lega.

Chiariamo: sulla gravità delle azioni ipotizzate dalla Procura milanese non vale la pena neppure discutere. È sconcertante assistere allo spettacolo di alti funzionari delle forze dell’ordine che, lasciati i propri incarichi, sembrano poter accedere non solo a una rete di conoscenze (sin qui è ovvio) ma a dati sensibili e riservati che dovrebbero essere usciti da anni dalla loro disponibilità. Appare incredibile dover vedere le fotografie di indagati appena usciti dal tribunale, in cui sarebbero andati a discutere di raccolta di informazioni in modi illegali. Ancor più agli occhi del magistrato che li avrebbe commissionati.

Bulimica la volontà di costruire quelli che vengono volgarmente definiti “dossier”, con lo scopo di accrescere il proprio potere personale. Potere di influenza e di ricatto, a seconda delle occasioni.

Tutto questo, però, sembra muoversi sullo sfondo di fatti vecchi come il mondo, aggiornati alla moderna disponibilità di raccogliere informazioni. Non c’è più l’investigatore privato di una volta, appostato sotto casa dell’amante di turno in una macchina scassata, ma raffinati metodi di indagine e intelligence.

Eppure pur sempre di corna stiamo parlando, in tanti dei casi divenuti di pubblico dominio.

Va alla grande anche la raccolta di informazioni – possibilmente pruriginose e diffamanti – per risolvere in modo spiccio e non proprio cristallino questioni successorie, fra fratelli coltelli e famiglie che sembrano nidi di serpi.

Tutto questo, come si legge per mano dei pm, costituisce «un pericolo per la democrazia di questo Paese»? Se intendiamo il vulnus di banche dati riservatissime ed estremamente delicate ridotte a gruviera, ovviamente sì. Se pensiamo alle probabili conclusioni dei comuni cittadini nel leggere le parole dei magistrati – vale a dire la capacità di agire per sovvertire l’ordine democratico seguendo una strategia – onestamente non riusciamo a riscontrare un rischio del genere.

Si può essere molto pericolosamente cialtroni, estremamente sicuri di sé, spregiudicati, tronfi e indifferenti al senso del limite quanto si vuole ma anche altrettanto lontani da progetti eversivi. Almeno sulla base di quanto sembrerebbe.

Così come il ‘conflitto’ fra pm e gip andrebbe riportato nel suo alveo naturale: non aver convalidato le richieste di arresti domiciliari per alcuni degli indagati non significa anticipare alcun esito di un processo che non sappiamo neppure se ci sarà. Evidenzia soltanto una diversa valutazione delle esigenze di provvedimenti restrittivi.

Il problema è che ci siamo abituati da qualche decennio alla carcerazione preventiva come a un anticipo di condanna popolare giusta e inappellabile. Un obbrobrio giuridico che pesa sulla coscienza di una certa categoria di procuratori, gip, giornalisti, politici e commentatori.

di Fulvio Giuliani

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