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Stefano Binda e la lunga battaglia per ingiusta detenzione

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L’incredibile balletto di udienze e impugnazioni per il risarcimento a un innocente: la storia di Stefano Binda, accusato di omicidio

Stefano Binda e la lunga battaglia per ingiusta detenzione

L’incredibile balletto di udienze e impugnazioni per il risarcimento a un innocente: la storia di Stefano Binda, accusato di omicidio

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Stefano Binda e la lunga battaglia per ingiusta detenzione

L’incredibile balletto di udienze e impugnazioni per il risarcimento a un innocente: la storia di Stefano Binda, accusato di omicidio

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Sembra un tragicomico gioco dell’oca in cui ogni volta si riparte dal “via”. E invece ci sono di mezzo la dignità di un uomo che ha sofferto il carcere senza colpa ed è stato riconosciuto innocente con sentenza definitiva; una montagna di denaro pubblico che si continua a spendere per una giostra senza fine di udienze e impugnazioni; l’amarezza e l’esasperazione di un avvocato ostinato; l’incredula lucidità con cui il protagonista di questa vicenda sta vivendo il prolungamento di una vicenda giudiziaria che pensava di essersi messo alle spalle per sempre.

Stefano Binda – accusato di aver ucciso nel 1987 l’ex compagna di liceo Lidia Macchi, arrestato a 29 anni di distanza dai fatti, processato e assolto con formula piena – è impantanato con il suo avvocato Patrizia Esposito in una battaglia per ottenere un indennizzo per i 1.286 giorni trascorsi in carcere da innocente. Dopo i tre gradi di giudizio del procedimento penale che lo ha riconosciuto non colpevole, da 4 anni viene rimbalzato da un’udienza all’altra fra verdetti e impugnazioni in Cassazione da parte della Procura generale contraria a un suo risarcimento. Sono passati 9 anni dal suo arresto e più di 4 dalla sentenza di assoluzione definitiva. E ancora chissà quanto tempo dovrà passare per arrivare a scrivere la parola fine.

E pensare che per il triennio 2024-2026 lo Stato ha messo a bilancio per la giustizia oltre 11 miliardi di euro. Una somma pari a circa l’1% del Pil, lo 0,30% della spesa pubblica (sopra la media europea), 100 euro per ciascun abitante (Francia e Spagna spendono meno, per dire). Come si spiega allora che la durata media dei procedimenti penali in Europa è di 149 giorni in primo grado, 121 in appello e 120 in Cassazione, mentre da noi è rispettivamente del triplo, del nonuplo e del doppio?

Si spiega anche con la vicenda di Stefano Binda, appunto. Quando fu assolto – era il 28 gennaio 2021 – dal giorno dell’arresto erano passati cinque anni tondi, 1.825 giorni di processi. Altro che i 390 della media europea. Quando poi si è aperta la questione relativa alla richiesta di un risarcimento, si è capito subito che i tempi si sarebbero allungati anche di più: inizialmente la Corte d’appello di Milano ha accolto la richiesta di indennizzo, accordando un risarcimento di poco più di 300mila euro. Era l’ottobre del 2022, a una ventina di mesi dall’ultima sentenza della Cassazione. Ma la Procura generale ha impugnato il provvedimento: fra questioni sorpassate da nuove leggi (essersi avvalso della facoltà di non rispondere durante l’interrogatorio di garanzia non è più un ostacolo al risarcimento) e presunte colpe ‘lievi’ dell’indagato (una pura ‘creazione’ giurisprudenziale), la Cassazione ha accolto il ricorso. Così nel giugno del 2023 la determinazione del quantum è tornata alla Corte d’appello di Milano.

Altro giro, importo pesantemente tagliato (circa 210mila euro nel febbraio scorso), altra impugnazione da parte della Procura generale che insiste su presunte contraddizioni e comportamenti anomali dell’ex indagato, ex imputato, oggi cittadino assolto con sentenza definitiva. Il copione si ripete: la Cassazione accoglie il ricorso e dispone un nuovo appello per decidere sul risarcimento. In questi giorni la Procura generale ha già comunicato formalmente il proprio parere negativo all’indennizzo a Binda, come a dire: a prescindere dalla somma che verrà riconosciuta, ricorreremo ancora. Cinque processi (senza contare i tre gradi affrontati in giudizio) potrebbero dunque non bastare.

Di Valentino Maimone

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