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Fuori di tenda

La protesta degli studenti fuori sede “in tenda“ sta dilagando: da Milano a Roma, da Firenze a Bologna, da Nord a Sud
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La protesta degli studenti fuori sede “in tenda“ sta dilagando: da Milano a Roma, da Firenze a Bologna, da Nord a Sud
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La protesta degli studenti fuori sede “in tenda“ sta dilagando: da Milano a Roma, da Firenze a Bologna, da Nord a Sud
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La protesta degli studenti fuori sede “in tenda“ sta dilagando: da Milano a Roma, da Firenze a Bologna, da Nord a Sud
Come ampiamente prevedibile, la protesta degli studenti fuori sede “in tenda“ sta dilagando: da Milano a Roma, da Firenze a Bologna, da Nord a Sud, sino alla Sardegna e – siamo pronti a scommettere – presto in altre città universitarie. Tralasciando che la prima studentessa ad aver avuto l’intuizione mediatica in tenda c’è stata giusto il tempo dei servizi fotografici e poi se n’è tornata a Bergamo (generazioni di studenti bergamaschi hanno frequentato l’università a Milano facendo i pendolari e 50 minuti di treno appaiono una soluzione decisamente vincente sugli affitti in città, suvvia), la forza del messaggio resta. Anche l’iconografia corrosiva dello studente “senzatetto“ costringe troppi dormienti a prendere atto del problema. L’effetto a catena ha innanzitutto reso giustizia della realtà dei fatti: il problema non è solo di Milano o Roma, anche se nelle grandi città è indiscutibilmente più grave andando a ruota di un mercato degli affitti e immobiliare ormai fuori di testa. La piaga è nazionale. Tanto per cominciare, sarebbe carino far emergere la moltitudine di affitti in nero sottoscritti su fogliettini volanti da migliaia di famiglie di studenti fuorisede in tutto il Paese. Sono 700 mila in Italia, mentre i posti letto censiti sono… 40mila. La fotografia di una presa per i fondelli. Una bella stretta ai controlli aiuterebbe a smascherare veri e propri affaristi senza scrupoli, ma anche chi paga dovrebbe uscire dalla logica del “black“, pur di risparmiare qualcosina e ottenere il tugurio d’ordinanza. Per i fuorisede la soluzione è da trovare in università, l’imperativo è riuscire a strapparli quanto più possibile al mercato degli affitti. Abbiamo già detto dell’impazzimento in alcune città, in altre a vocazione turistica la situazione è resa ancora più complessa dal dilagare dei B&B, in altre ancora gli alloggi sono oggettivamente pochi. Per non ridursi solo alle chiacchiere consolatorie, avremmo bisogno di un numero di posti letto che a oggi resta un sogno. Grazie ai fondi del Pnrr (ma tu guarda un po’ da dove arrivano i soldi), entro il 2026 dovremmo arrivare a 60.000 alloggi in più a disposizione degli studenti, ma per il momento in Italia ne sono disponibili appena 8000 di nuovi. A fornire le cifre è il presidente della Conferenza dei rettori (Crui), Salvatore Cuzzocrea. Un’inezia. Le università devono realizzare quanti più studentati possibile andandosi anche a cercare i fondi, come sono abituate da tempo a fare le “private“ per garantirsi sviluppo e investimenti sul modello anglosassone o nord europeo. Il pubblico, fra le altre cose, deve trovare e mettere a disposizione edifici dismessi, che oggi sono prete ambitissime dalle grandi realtà del mercato immobiliare. È innanzitutto una questione di dignità, ma non solo: se vogliamo attrarre studenti dall’estero – e dobbiamo assolutamente farlo molto di più – una situazione del genere è un dito nell’occhio. C’è la decenza, insomma, ma anche la convenienza. di Fulvio Giuliani 

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