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Terremoto, il dramma delle immagini

La linea fra il racconto legittimo della cronaca e il voyeurismo è un filo sottile a cui bisogna prestare attenzione
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Terremoto, il dramma delle immagini

La linea fra il racconto legittimo della cronaca e il voyeurismo è un filo sottile a cui bisogna prestare attenzione
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Terremoto, il dramma delle immagini

La linea fra il racconto legittimo della cronaca e il voyeurismo è un filo sottile a cui bisogna prestare attenzione
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La linea fra il racconto legittimo della cronaca e il voyeurismo è un filo sottile a cui bisogna prestare attenzione
Nell’immane tragedia del terremoto al confine fra Turchia e Siria non possiamo non interrogarci sul senso di alcune immagini. Pugni allo stomaco che smuovono le nostre coscienze: la gioia per un neonato resuscitato dall’inferno, l’angoscia per una mano inerte che sbuca tra le macerie. Frame che stanno facendo il giro di quasi tutto il mondo, che ci ricordano l’ineluttabilità del destino e che in diversi casi diventeranno il simbolo di questa apocalisse. Così come lo sono divenuti il falling man delle Torri Gemelle o la piccola vietnamita nuda colpita dal napalm (tragedie dalla genesi umana). L’altro giorno ha deciso la forza incontrovertibile della natura e noi possiamo solo raccontare quanto accaduto, ben consapevoli che le immagini più sono forti (come la bimba con il volto insanguinato tra le braccia di un soccorritore) e più sono utili a spingere le raccolte fondi e magari a riconoscere i dispersi. Il confine fra il racconto legittimo della cronaca e il voyeurismo è però un filo sottile a cui bisogna prestare attenzione. Sui social è un continuo susseguirsi di video più o meno spettacolari di palazzi che crollano e di persone estratte vive o esanimi. Si indugia sui particolari: gli sguardi terrorizzati, il pianto di un papà che stringe la manina del figlio defunto. Momenti di intimo dolore che meritano rispetto. Quello che 42 anni fa non sapemmo dare ad Alfredino Rampi. Era l’alba di una nuova era mediatica e non lo sapevamo. Non è mai troppo tardi. di Ilaria Cuzzolin

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