Le violenze accadute nella notte di Capodanno a Milano ci mostrano due facce dell’immigrazione di seconda generazione: chi vive una realtà senza di regole e chi ha avuto il coraggio di difendere dimostrando che la violenza non ha né colore né nazionalità.
Dici immigrati di seconda generazione e ti sembra di racchiudere così un universo fatto invece di enormi diversità. Figli di immigrati sono i due ragazzi fermati per le violenze a Capodanno in piazza Duomo a Milano. Così come quelli che la polizia ha perquisito per gli stessi fatti. Vivono nelle periferie delle grandi città, a scuola spesso non ci vanno e non si sentono italiani nonostante siano nati nel nostro Paese. Sono i volti dei video di tanti rapper, sono i componenti di quelle che vengono definite baby gang. La loro è una realtà complessa dove di regole ce ne sono ben poche, tranne quella di difendersi l’un l’altro. Di fare muro di fronte a una società in cui non si riconoscono e non hanno alcuna intenzione di integrarsi.
Sono ragazzi che andrebbero presi per mano perché hanno tutto il futuro davanti. Ma è difficile farlo, e non a caso spesso ci riescono solo preti e volontari che dedicano le loro giornate a cercare di penetrare la cortina di diffidenza che rende questi giovani ancora più distanti dai loro coetanei. Già riuscire a farli studiare sarebbe un passo avanti, perché la scuola li porterebbe a misurarsi con una realtà che non è detto sia poi così ostile.
Ma scrivevamo che non si può racchiudere questa gioventù in un’unica espressione. Sempre i fatti terribili di Milano lo dimostrano. Perché chi quelle violenze ha filmato, chi ha avuto il coraggio di metterci la faccia per raccontare quei terribili minuti, è anche lei una “immigrata di seconda generazione”. Non proviene dal Nordafrica come i ragazzi fermati, la sua famiglia viene dall’Albania. Geografia a parte, è però praticamente coetanea dei giovani accusati di violenza. E anche delle vittime.
Ha fatto quello che pochissimi, non solo adolescenti, avrebbero fatto. Prima è intervenuta, per cercare di fermare il branco. Una ragazza, da sola, in mezzo a una trentina di ragazzi. A rischio anche della sua, di incolumità. E poi ha scelto di mostrarsi, a volto scoperto, per testimoniare quello a cui ha assistito. È l’unica finora ad averlo fatto. Eppure c’è da scommettere che in piazza Duomo a Capodanno di persone ce ne fossero parecchie. Lo ha fatto perché, dice, «è quello che vorrei facessero se capitasse a me». Lo ha fatto anche per ribadire che non importa di che nazionalità fossero i ragazzi di quel branco.
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