Volontariato come ricchezza collettiva
Volontariato come ricchezza collettiva
Volontariato come ricchezza collettiva
Con i funerali, svoltisi a Riccione, si è chiusa la tragedia del 7 ottobre scorso, quando un pulmino della cooperativa Cuore 21 si è schiantato sull’autostrada. Sono morte sei persone: volontari, operatori e ospiti portatori di disabilità, diretti in Friuli per qualche giorno di vacanza. Nel buio di quel dolore sarebbe colpevole non cogliere la luce di quel che racconta, resa più forte dal cordoglio e dalla solidarietà che subito si sono manifestati.
Non è facile gestire i bisogni quotidiani dei portatori di handicap. Se dal punto di vista medico il compito grava sul sistema sanitario, per la vita, per la socialità, per gli svaghi come per il possibile lavoro nessuno meglio dei volontari svolge quel ruolo. Lo si chiama, un po’ burocraticamente, “terzo settore”. È un pozzo di ricchezza umana, d’impegno, di preparazione. È lo strumento migliore, perché anche quando si tratta di persone che stanno lavorando – quindi giustamente retribuite – sono comunque donne e uomini che hanno scelto quell’agire come vocazione.
Si fa sempre un gran discutere, talora riempiendosi la bocca a vanvera, di soccorrere i bisognosi. Non di rado si tratta della premessa per allargare la spesa pubblica corrente. Ma anche nel campo del bisogno, come già si vide nei giorni più duri dei blocchi indotti dalla pandemia, il migliore investimento e il più efficace intervento si devono al volontariato. Perché non affronta un generico problema ma porge la mano a chi ne ha bisogno, conoscendolo. Condividendone la vita.
di Adelaide Resta
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