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Moraliste fuori di seno contro Woody Allen

Lultima manifestazione femminista a Venezia, contro il regista Woody Allen, dovrebbe far riflettere sui suoi contenuti e sulla sua forma
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Moraliste fuori di seno contro Woody Allen

Lultima manifestazione femminista a Venezia, contro il regista Woody Allen, dovrebbe far riflettere sui suoi contenuti e sulla sua forma
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Moraliste fuori di seno contro Woody Allen

Lultima manifestazione femminista a Venezia, contro il regista Woody Allen, dovrebbe far riflettere sui suoi contenuti e sulla sua forma
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Lultima manifestazione femminista a Venezia, contro il regista Woody Allen, dovrebbe far riflettere sui suoi contenuti e sulla sua forma

Lultima manifestazione femminista all’80esima Mostra del Cinema di Venezia, contro il regista Woody Allen, dovrebbe far riflettere sui suoi contenuti e sulla sua forma. Un modo di fare attivismo che, di questo passo, rischia di diventare una voce inascoltata perché stonata. Peggio ancora, rischia di trasformarsi in sentenza inappellabile senza ricorrere alla giustizia. Una nuova, vera e propria caccia alle streghe.

Woody Allen è stato accolto, senza nemmeno rendersene conto, da una trentina fra donne e uomini che al suo arrivo sul red carpet hanno urlato: «No rape culture» (No alla cultura dello stupro). E ancora: «Lo stupratore non è malato, è figlio sano del patriarcato». La colpa della Biennale, quest’anno, sarebbe dunque quella di ospitare un uomo accusato di violenza sessuale. Peccato però che Woody Allen sia stato assolto. Un calvario durato trent’anni, con una pena morale” che a quanto pare il regista non smetterà mai di scontare. Lo stesso direttore della Mostra del Cinema di Venezia, Alberto Barbera, ha risposto in conferenza stampa alle accuse delle attiviste ricordando loro linnocenza del regista. Dettaglio (e nemmeno di poco conto) al quale comunque le femministe hanno risposto: «Non è importante quello che può dire un tribunale. (…) Una persona che denuncia non lo fa per avere su di sé i riflettori ma perché ha subìto qualcosa». Se non un tribunale, ci chiediamo dunque chi possa sentenziare senza farsi giustizia da sé. Paradossalmente e in maniera più sensata si sarebbe dovuto chiedere conto di accuse infondate che hanno finito per indebolire lo stesso ‘movimento’ per i diritti. Altrimenti il rischio è quello della gogna, sempre e comunque, anche di fronte alla comprovata innocenza.

Sul caso di Allen indagarono indipendentemente la Clinica per gli abusi sessuali sui minori dell’Ospedale di Yale New Haven e i servizi sociali infantili dello Stato di New York. Conclusero che non ci furono molestie sessuali su Dylan Farrow (sette anni all’epoca dei fatti) e vennero avanzate due ipotesi: che la bambina, emotivamente vulnerabile e segnata da una famiglia disturbata, si fosse inventata tutto; che fosse stata indottrinata o influenzata dalla madre, lattrice Mia Farrow che laveva adottata durante la sua nota e burrascosa relazione con Woody Allen.

Ci chiediamo inoltre se sia logico manifestare contro la violenza sessuale con i seni al vento. Un paradosso che ricorda quello spesso citato dagli attivisti contro la guerra in Vietnam: «Bombing for peace its like fucking for virginity» (Bombardare per la pace è come scopare per la verginità).

di Claudia Burgio

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