Airbnb, servono regole per tutti
Il disegno di legge di bilancio che prevede +26% sulla tassa degli affitti brevi non preoccupa il settore, rischi e vantaggi: favorisce imprenditorialità
| Economia
Airbnb, servono regole per tutti
Il disegno di legge di bilancio che prevede +26% sulla tassa degli affitti brevi non preoccupa il settore, rischi e vantaggi: favorisce imprenditorialità
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Airbnb, servono regole per tutti
Il disegno di legge di bilancio che prevede +26% sulla tassa degli affitti brevi non preoccupa il settore, rischi e vantaggi: favorisce imprenditorialità
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Il disegno di legge di bilancio che prevede +26% sulla tassa degli affitti brevi non preoccupa il settore, rischi e vantaggi: favorisce imprenditorialità
Il disegno di legge di bilancio all’esame del Parlamento, che prevede l’innalzamento al 26% della tassa sugli affitti brevi, non preoccupa più di tanto il settore. Anche così la redditività dei canoni short term resterebbe infatti di gran lunga superiore rispetto a quella garantita dal classico contratto d’affitto 4+4. Il business lo hanno capito tutti, tant’è che quasi il 2% del totale delle abitazioni di proprietà in Italia è presente online con annunci destinati all’affittanza a breve termine. A New York il caro affitti ha spinto l’amministrazione a promulgare la Local Law 18 che ha fatto scendere del 70% la disponibilità di appartamenti su Airbnb: l’equivalente di 15mila case in meno. Da settembre i piccoli proprietari hanno ora il divieto di affittare sotto i 30 giorni e a patto che l’host risieda nello stesso alloggio e non vi siano più di due ospiti. L’offerta naturalmente non è sparita, semplicemente si è spostata su altri canali (sui social network, ad esempio), come del resto già accade da tempo anche in Italia.
L’obiettivo è ovvio: sfuggire alle salate commissioni delle piattaforme dedicate e non solo. Così su Facebook si trovano gruppi come “Affitto case vacanza in montagna”, “Case al mare in Emilia Romagna” e via dicendo. Un escamotage che permette agli host di risparmiare ma che inevitabilmente riduce in modo drastico la possibilità di controlli che, invece, le piattaforme ufficiali garantiscono: dai documenti di chi entra nelle case ai flussi di denaro che, con poche probabilità, vengono dichiarati al fisco. Anche la stessa Airbnb è finita in questi giorni nel mirino della Procura di Milano con l’accusa di non aver versato le imposte della cedolare secca come sostituto di imposta per 779 milioni di euro fra il 2017 e il 2021.
Secondo i pm i manager irlandesi indagati «avrebbero tenuto un comportamento ostruzionistico verso l’amministrazione finanziaria italiana». La giustizia farà il suo corso, ma ciò che risalta è l’impellente necessità di regolamentare tutto il settore partendo proprio dalle basi. Realtà come Airbnb e similari non possono essere più lasciate al caso poiché rappresentano un’incredibile opportunità non soltanto per chi affitta ma anche per tutto il quartiere. Un recente studio del Politecnico di Torino ha dimostrato come – nel contesto di aree economiche marginali e in declino – Airbnb abbia favorito l’imprenditorialità, generando indotto e la percezione della sicurezza. Ci sono zone che hanno letteralmente cambiato faccia grazie al proliferare degli affitti brevi, come per esempio i Quartieri spagnoli a Napoli. Prima quasi infrequentabili e oggi letteralmente trasformati dai tanti servizi nati per soddisfare le richieste dei turisti. Il problema nasce quando le case in affitto diventano così numerose da rappresentare un problema per il quartiere – eccessivamente snaturato nella sua identità – e con gli stessi condomini costretti ad assistere a un continuo via vai di gente. È una questione di buona educazione e per quella, purtroppo, non esistono regole: la si ha oppure no.
Di Ilaria Cuzzolin
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