Da novembre ai primi di dicembre le quotazioni del petrolio hanno subito un calo del 15,2% per il Brent, indice del mercato petrolifero europeo 19,6% (-19,6% per il Wti, indice del mercato petrolifero americano). Eppure, i consumatori non ne hanno giovato altrettanto: “Rispetto a inizio mese i listini di benzina e gasolio sono calati soltanto dello 0,4%, con la verde che è passata da 1,750 euro al litro dell’1 novembre agli attuali 1,743 euro, e la benzina che scende da 1,613 euro/litro a 1,607 euro”, aveva denunciato il Codacons in un report aggiornato a fine novembre.
Se si considera che in Italia circa l’85% della merce trasportata viaggia su gomma, gli effetti si palesano davanti ai nostri occhi in tutta la loro portata. Il mercato dei prezzi nel nostro Paese è ancora meno elastico della media europea perché vessato dall’IVA al 22% e dalle accise, imposte fisse che incidono per 0,72 euro sulla benzina e 0,61 euro sul gasolio. Proprio a proposito di IVA, l’ultimo rapporto della commissione europea dimostra che anche nel 2019 l’Italia si è confermato il primo Paese in UE per evasione dell’Imposta sul Valore Aggiunto, con circa € 31,1 miliardi di gettito mancante.
Il Governo sta studiando l’eliminazione di alcuni Sussidi ambientalmente dannosi (Sad) tra cui quelli per i carburanti per l’autotrasporto e i mezzi agricoli. “Ammontano a circa 19 miliardi, una cifra importante. Dobbiamo dare un segnale chiaro che devono essere eliminati come richiede l’UE, ma al tempo stesso dobbiamo non danneggiare queste categorie”, ha dichiarato il Ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani. Il MITE studia due soluzioni per riallocare le risorse attualmente destinate ai Sad: ridurre il cuneo fiscale dei lavoratori impegnati nei settori colpiti oppure introdurre nuovi sgravi fiscali per le aziende interessate.
La normativa comunitaria è perfettamente in linea con le esigenze ambientali e gli sviluppi della Cop26, di per sé è ineccepibile. Ciò che preoccupa è l’attuazione concreta di alcune misure. Entrambe le soluzioni in esame ristorerebbero le imprese solo in un secondo momento e c’è il timore che, una volta aumentati, i prezzi restino relativamente alti, anche quando le imprese godranno della minor tassazione o degli sgravi fiscali: una sorta di “effetto spesa 2.0”.
Con questa espressione ci si riferisce al fatto che, anche a lockdown finito, i prezzi medi della spesa alimentare sono rimasti molto più alti rispetto al pre-Covid.
Un report della FAO ha registrato un aumento dei prezzi alimentari da ottobre 2020 a ottobre 2021 pari al 31,3%, anche per l’aumento del costo del carburante. La corsa dei prezzi per spese strutturali, e quindi indispensabili, crea danni in due direzioni, entrambe a discapito dei consumatori. In via diretta, perché al distributore il pieno costerà in media oltre 400 euro in più all’anno rispetto al 2020 (rapporto Codacons). Indirettamente, quando i rincari del carburante o dell’energia elettrica fanno schizzare i prezzi di beni e servizi al consumatore.
Proprio in queste ore l’OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di Petrolio) ha promesso, in accordo con un gruppo di Stati produttori a guida russa, di aumentare la produzione di petrolio con un + 400.000 barili al giorno nel mese di gennaio. La notizia ha fatto calare il costo a 65 dollari circa, dopo gli 85 nel mese di ottobre. Ma la scarsa elasticità del mercato al dettaglio nel recepire le modifiche al ribasso è un fattore da considerare nel breve e nel lungo periodo.
Questi aumenti, insieme alla deadline del 2035 per la produzione delle auto con motore a combustione, stanno dando una spinta importante al mercato delle auto elettriche e ibride che vantano una quota di mercato già del 38% sul totale del venduto in Italia (dati Anfia, gennaio-ottobre 2021).
di Giovanni Palmisano
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