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Auricchio: “Se noi italiani non uniamo le forze, finiremo per esser comprati. Bene fanno i francesi”

Antonio Auricchio, presidente dell’omonima azienda casearia, del Consorzio di tutela del gorgonzola e di Afidop: “A fermarci è l’invidia. Unire le forze contro il nanismo industriale”
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Auricchio: “Se noi italiani non uniamo le forze, finiremo per esser comprati. Bene fanno i francesi”

Antonio Auricchio, presidente dell’omonima azienda casearia, del Consorzio di tutela del gorgonzola e di Afidop: “A fermarci è l’invidia. Unire le forze contro il nanismo industriale”
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Auricchio: “Se noi italiani non uniamo le forze, finiremo per esser comprati. Bene fanno i francesi”

Antonio Auricchio, presidente dell’omonima azienda casearia, del Consorzio di tutela del gorgonzola e di Afidop: “A fermarci è l’invidia. Unire le forze contro il nanismo industriale”
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Antonio Auricchio, presidente dell’omonima azienda casearia, del Consorzio di tutela del gorgonzola e di Afidop: “A fermarci è l’invidia. Unire le forze contro il nanismo industriale”

«Dico sempre che noi italiani non facciamo formaggi ma gioielli». Antonio Auricchio, presidente dell’omonima azienda casearia, alla guida del Consorzio di tutela del gorgonzola e dal 2021 anche di Afidop (lassociazione che riunisce i formaggi italiani Dop e Igp), è lincubo di ogni addetto stampa perché quel che pensa dice. È un imprenditore daltri tempi, di quelli che vanno ancora per stalle e che alla villa lussuosa ha preferito lappartamento che fu del nonno, appena sopra lazienda nel Cremonese dove Auricchio ha la sede principale.

Il suo gruppo è presente in oltre 60 Paesi nel mondo e soltanto in Italia conta 9 stabilimenti. Una favola cominciata a fine Ottocento a San Giuseppe Vesuviano (alle pendici del Vesuvio), dove grazie al segreto di Don Gennaro” è nata la prima fetta di quel provolone che ancora oggi viene fatto a mano. Le macchine svolgono un lavoro che luomo non farebbe con altrettanta perfezione e velocità, ma quando c’è da massaggiare limpasto il signor Auricchio non scende a compromessi: vuole soltanto le mani esperte dei suoi «maestri casari», come li chiama lui.

A fine febbraio è stata pubblicata la classifica dei 50 migliori formaggi al mondo: 8 delle prime 10 posizioni appartengono all’Italia e per trovare il primo formaggio francese bisogna scendere al tredicesimo posto. Eppure dai cugini dOltralpe abbiamo ancora tanto da imparare: «Per esempio sono bravissimi nel packaging ma ancora di più lo sono nel fare squadra» spiega Auricchio. «Noi italiani dobbiamo smettere di guardare solo il nostro orticello e capire che se non uniamo le forze finiremo sempre con lessere comprati. Cosa sono i miei 400 milioni di fatturato rispetto ai quasi 30 miliardi di Lactalis? Nulla!». Nel tempo il gruppo francese ha rilevato diversi marchi italiani come Galbani, Parmalat, Ambrosi e Nuova Castelli, diventando leader incontrastato del caseario Made in Italy. «Di recente in Francia è accaduto che le vendite di mozzarella italiana abbiano superato quelle del camembert, una piccola rivincita» continua limprenditore. «Noi italiani siamo bravi, ma a fermarci è l’invidia. Qual è il senso di avere tre piccoli caseifici in un paesino di montagna? Questa mentalità andava bene agli inizi dell’Ottocento». Il nanismo industriale resta un problema trasversale che si può superare soltanto cambiando la mentalità di alcuni imprenditori. E anche delle banche, «perché se Lactalis è diventata quella che è oggi, il merito è anche di Crédit Agricole che ha creduto nel progetto».

Italia e Francia, eterne rivali, si spartiscono un importante numero di formaggi tutelati dall’Unione europea (Dop/Igp) laddove però lItalia ha il triste primato di essere il Paese più copiato (male) nel mondo. «Sono arrabbiatissimo» sbotta Auricchio. «Ho infatti scoperto che nel Continente americano hanno brevettato il CG, che pur non contenendo esplicitamente la parola gorgonzola è lacronimo di Consorzio Gorgonzola. Significa che qualsiasi caseificio negli Usa come in Brasile può produrre questo formaggio senza che si possa dire nulla solo perché nessuno si era premurato di registrare il marchio». Questo della tutela è infatti un labirinto fatto di regole sbiadite, dove per aggirare la norma basta scrivere Gran” al posto di Grana”.

C’è poi la questione del Nutriscore, lormai tristemente noto semaforo da apporre sugli alimenti più grassi e di cui si sta discutendo da anni. «In questa battaglia siamo compatti con i francesi. Quella del semaforo è una scelta genialmente cattiva perché uno, quando vede il rosso, che fa? È pronto a bloccarsi». La sua è una partita strettamente legata al territorio «perché, se salvi la fontina, salvi anche la Valle dAosta» spiega il presidente di Afidop.«Ciò che conta è essere chiari». E questa della chiarezza è unaltra delle battaglie che Auricchio porta avanti con la collaborazione delle forze dell’ordine, soprattutto nei ristoranti: «Se uno nel menù mi scrive che la mozzarella sulla pizza è di bufala quando invece non lo è, bisogna fargli un fondoschiena così!». Lo abbiamo scritto, Auricchio quel che pensa dice.

di Ilaria Cuzzolin

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