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Credit Suisse

Banche rotte

La soluzione trovata per la crisi di Credit Suisse apre due ordini di problemi: uno regolamentare e l’altro di politica economica
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Banche rotte

La soluzione trovata per la crisi di Credit Suisse apre due ordini di problemi: uno regolamentare e l’altro di politica economica
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Banche rotte

La soluzione trovata per la crisi di Credit Suisse apre due ordini di problemi: uno regolamentare e l’altro di politica economica
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La soluzione trovata per la crisi di Credit Suisse apre due ordini di problemi: uno regolamentare e l’altro di politica economica
La soluzione trovata per la crisi di Credit Suisse apre scenari che non hanno nulla di tranquillizzante. Cominciamo con il dire che le ragioni del sostanziale default non sono state rese note al mercato dalle autorità svizzere. Ed è un fatto grave. Infatti, dopo un comunicato estremamente rassicurante emesso giovedì della scorsa settimana dalla Banca centrale svizzera, congiuntamente a Finma e Ministero dell’Economia, circa la solidità della banca, il sabato si è proceduto – in deroga a tutte le norme – alla sua incorporazione forzata in Ubs. Non sappiamo cosa sia realmente accaduto all’istituto e le vere ragioni per cui si è sostanzialmente costretto Ubs ad acquisire la sua concorrente storica. Come è ormai noto, l’operazione è avvenuta innanzitutto a spese dei detentori di obbligazioni subordinate Credit Suisse (che sono state deliberatamente azzerate) mentre il valore delle azioni ha mantenuto un livello residuale ma significativo (3,2 miliardi, rispetto agli 8 che valeva in Borsa l’ultimo giorno di trattazione). Aver assunto queste due decisioni – cioè obbligare Ubs a intervenire e azzerare il valore dei bond subordinatiapre due ordini di problemi, uno regolamentare e uno di politica economica. Quello di politica economica lo stiamo vedendo concretamente in queste ore sui mercati. Innanzitutto chiariamo che Ubs ha il 30% circa del proprio capitale espresso da titoli subordinati: moltissimo. A questo punto chi se la sentirà di detenere subordinati bancari svizzeri dopo quello che è accaduto a Credit Suisse? E i temerari che accetteranno di farlo ovviamente pretenderanno un tasso molto più elevato dell’attuale, proprio per ripagare dei rischi che si assumono. In queste ore alcune banche minori tedesche hanno annunciato che non richiameranno i propri subordinati, violando una prassi di mercato consolidata che ovviamente denota estrema debolezza. Il non richiamare detti bond comporta che le banche in questione accettano di pagare un incremento delle cedole, stabilito dal contratto, di 3,5% all’anno. Deutsche Bank invece, che ha un Lower Tier 2 in scadenza la prossima settimana, si è affrettata a dichiarare che intende richiamarlo, secondo la prassi. Ma il mercato non le crede e il titolo precipita. Significa a sua volta due cose: se le banche accettano di pagare 3,5% in più sui propri debiti, questo si ribalterà su cittadini e imprese, rendendo più cari i loro mutui e il loro credito. Quindi, in termini di politica economica, dobbiamo attenderci una recessione perché, quando improvvisamente e ineluttabilmente si restringe il credito, si spinge l’economia in recessione. Inoltre significa che le banche stesse non credono di essere in grado di ricollocare nuovo debito a condizioni simili, pertanto accettano di pagare 3,5% in più, dichiarando così la propria allarmante debolezza. E la paura si diffonde. Tornando alla decisione delle autorità svizzere di obbligare Ubs ad acquisire Credit Suisse, l’altro problema che ciò pone è un tema regolamentare. Facciamo un passo verso gli Usa. La Svb è stata salvata dalla Fed e i suoi depositanti sono stati tutti protetti nonostante avessero depositi ben oltre i 250mila dollari, che è il limite garantito dalla Fed (100mila in Europa). Lo ha fatto perché ha ritenuto la Svb una banca significativa per il sistema, lasciando così intendere che non farà altrettanto per i depositanti di banche piccole che sono meno rilevanti. Ma questa dichiarazione a cosa porta? Alla fuga dalle banche piccole che, nel loro insieme, pesano molto sul sistema Usa. Quindi per salvare una banca grande – la Svb – si buttano a mare le piccole. Torniamo in Europa, o meglio in Svizzera. Aver creato il gigante che hanno creato, innestando su Ubs una enorme pianta ammalata (non sappiamo bene di cosa, ma deduciamo si tratti di malattia mortale) non fa altro che riportarci nell’atroce dilemma già fronteggiato nel 2008, rappresentato dall’espressione nota “too big to fail”, ovvero troppo grande per poter fallire. Ma le autorità ci avevano rassicurato che la normativa introdotta dopo il 2008 avrebbe ben retto a tutti gli stress test possibili e a tutte le sorprese che il mercato ogni 15 anni ci riserva. E invece stiamo derogando ancora una volta a tutte le norme, pur di salvare la nave. Questo ci porta a ritenere che istituti di credito troppo grandi non siano regolabili. La via da percorrere dunque è quella della concorrenza regolata dalle autorità, le quali a loro volta impediscono il sovradimensionamento degli istituti di credito. Ubs ha raggiunto dimensioni che sono svariate volte quelle dell’economia svizzera. Chi potrebbe permettersi di salvarla se dovesse incappare nella stessa sorte toccata alla sua concorrente Credit Suisse? Nessuno. E quindi verso cosa ci stanno spingendo con queste decisioni azzardate? Probabilmente verso il contagio e verso il credit crunch perché le decisioni – assunte caso per caso disattendendo una normativa che, dal canto suo, non riesce a regolare i mostri che si sono creati – non possono che portare al panico. Di Bancor

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