BenEssere
Se un Paese cresce poco è difficile che cresca il benessere. Perché non cresciamo in modo soddisfacente, nonostante i fondi europei?

BenEssere
Se un Paese cresce poco è difficile che cresca il benessere. Perché non cresciamo in modo soddisfacente, nonostante i fondi europei?
BenEssere
Se un Paese cresce poco è difficile che cresca il benessere. Perché non cresciamo in modo soddisfacente, nonostante i fondi europei?
Dovrebbe far paura la crescita economica che manca. È su quella che avrebbe senso valutare le diverse idee e ricette politiche. Dire che si vuole “equità” o “giustizia sociale” non significa niente. Dire che si vorrebbero “redditi più alti” significa poco, se non si aggiunge come potere ottenere questo bel risultato. In ogni caso: se un Paese cresce poco è difficile che cresca il benessere. È alla crescita che si dovrebbe guardare.
Nei conti presentati dal governo italiano – di cui pare pochi abbiano voglia di discutere – è scritto che per quest’anno dovremmo crescere anche meno del previsto, +0,5%. Per gli anni futuri si immagina un crescendo davvero poco rossiniano: 0,7% nel 2026; 0,8% nel 2027; 0,9% nel 2028. Tanto poco vigore, nella stagione che maggiormente dovrebbe risentire della montagna di quattrini fornita dai fondi europei Next Generation Eu. Si ripete che il programma del Pnrr (alimentato con quei fondi) rispetta le previsioni, ma è come dire che il motore romba alla grande e la vettura non si muove. Tutta la comunicazione politica è giocata su concetti meno che elementari, tipo “crescita” (dell’occupazione, per chi governa) e “decrescita” (del potere d’acquisto, per chi fa l’opposizione). Ciascuno è chiamato a riconoscere l’una o l’altra, ma si dimentica tutto il resto.
Accanto al Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp), con i dati appena citati, c’è un secondo documento: quello di Benessere equo e sostenibile (Bes). Già le denominazioni hanno un che di moralistico, come se il problema fosse contrastare il Benessere iniquo ed egoista. Fatto è che da quei dati emerge che il 20% degli italiani che dichiarano i redditi più alti ha disponibilità 5,7 volte superiori rispetto al 20% con i redditi più bassi. Non è molto. Se crescessimo più velocemente, a beneficio di tutti, quelle distanze sarebbero maggiori. E sono fisiologiche, per la stessa ragione per cui c’è un cantante più ascoltato o uno stilista che vende più vestiti. La disuguaglianza è ricchezza.
Lo si vede osservando un altro numero, l’indice di Gini. Lo si usa in tutto il mondo per misurare le disuguaglianze economiche: se l’indice è 0 vuol dire che tutti hanno lo stesso reddito; se è 100 vuol dire che uno guadagna tutto e gli altri niente. Ovviamente sono casi limite, ma quel numero dice molto e assai diverso da quel che si crede: in Unione Europea viviamo nel paradiso della ricca equità, con 30,1; in Italia siamo al 32,9; in Germania al 31,2. Gli Stati Uniti crescono più velocemente e sono al 41,8. Ho l’impressione che molti dei ragionamenti politicanti e sociologicheggianti che si sentono siano frutto dei film e della realtà americana.
Se cresci con maggiore vigore le distanze aumentano, perché chi prende più vento nelle vele guadagna spazio. I temi politici rilevanti sono due: 1. come assicurare condizioni che consentano una crescita più vivace possibile; 2. come evitare che le distanze che in questo modo si creano si consolidino poi in svantaggio per chi è rimasto indietro, consentendo a tutti di avere uguali opportunità (perché si hanno uguali diritti e doveri).
La prima cosa dovrebbe interrogarci sul perché non cresciamo in modo soddisfacente, nonostante i fondi europei. Risposta: perché non abbiamo fatto un accidente nel riformare e rimuovere gli ostacoli. Ci inchiodiamo da soli. Favorendo le rendite rispetto all’innovazione ci teniamo lo stesso ombrellone, pagato di più e con lavoratori retribuiti meno. Ma non interessa alla politica. La seconda cosa su cui interrogarsi è come fare in modo che un vantaggio del bisnonno non si stabilizzi al bisnipote. Risposta: puntando sulla formazione, premiando l’intraprendenza, avendo un mercato dei capitali che finanzi l’idea e non soltanto la garanzia.
Attorno a questi temi ci sono i sani universi di destra e sinistra, con annesse sensibilità sull’essere e sul bene. Fuori da questi c’è il nulla della retorica e il fossile di una classe politica che detesta il mercato e s’inciucia i mercanti. A destra e sinistra.
Di Davide Giacalone
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche

Il peso dei dazi di Trump sull’industria italiana

Euro, tanti saluti al contante

Testamento Armani, l’eredità al compagno e ai nipoti. La sede dovrà restare in Italia. Entro 3 anni il 15% a LVMH, L’Orèal o EssilorLuxottica o la quotazione in Borsa
