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Carenza di lavoratori stagionali: vietato semplificare

Il reddito di cittadinanza è sicuramente una causa, ma non l’unica: la carenza di lavoratori stagionali (e non solo) è un problema che non può essere semplificato.

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Carenza di lavoratori stagionali: vietato semplificare

Il reddito di cittadinanza è sicuramente una causa, ma non l’unica: la carenza di lavoratori stagionali (e non solo) è un problema che non può essere semplificato.

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Carenza di lavoratori stagionali: vietato semplificare

Il reddito di cittadinanza è sicuramente una causa, ma non l’unica: la carenza di lavoratori stagionali (e non solo) è un problema che non può essere semplificato.

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Il reddito di cittadinanza è sicuramente una causa, ma non l’unica: la carenza di lavoratori stagionali (e non solo) è un problema che non può essere semplificato.

Vi raccontiamo di un Paese con l11% di inattivi rispetto alla media Ue del 3,7% (persone che non lavorano e neppure cercano più unoccupazione, secondo i recentissimi dati Eurostat), un Paese con una disoccupazione giovanile a livelli patologici e con un buco’ di circa 350mila posti – nel solo settore turistico – che non verranno occupati nella prossima stagione estiva. Vi raccontiamo di un Paese con unoccupazione femminile e giovanile drammaticamente più bassa della media dell’Unione, frutto a sua volta di una media ponderata fra un Nord con un grave problema e un Sud alle prese con un disastro generazionale.

Perché di questo Paese non ce n’è uno: ce ne sono diversi, secondo faglie geografiche, ma soprattutto culturali. LItalia che non trova camerieri, cuochi, addetti alle pulizie, personale per alberghi, stabilimenti balneari e termali e strutture montane è figlia di una parte di sé. Quella del Reddito di cittadinanza, ma non solo. Troppo comodo e semplicistico ascrivere ogni responsabilità a un provvedimento che qui abbiamo sempre osteggiato e criticato aspramente.

Ben più grave e corrosivo di una misura pur sbagliata è la subcultura secondo cui tutto ciò che è diverso od oltre il “tempo indeterminato” è a rischio oppressione e sfruttamento. A cominciare dalla vitale gavetta’ (fateci caso, il termine ha ormai assunto connotazioni squisitamente negative), quella fase di formazione e apprendistato fondamentale per entrare in contatto con il mondo del lavoro e comprenderne meccanismi, diritti e – accipicchia – doveri.

Il lavoro nero e sottopagato è un cancro del sistema, che finisce però per essere alimentato e giustificato dagli stessi che si strappano le vesti per i salari troppo bassi, gli orari impossibili e i weekend al lavoro. Un sistema incentrato sull’assistenza non potrà che essere assetato di denari da chiedere a chi lavora onestamente e fa lavorare rispettando le regole. Le persone per bene, gli imprenditori sani, pagano le storture di una comunità che ha cancellato dal proprio orizzonte formazione, sacrificio, selezione e fatica.

Coccoliamo (meglio, facciamo finta) i ragazzi dicendo loro che il mondo del lavoro è uno schifo, che lavorare così è insostenibile, ma in realtà gli freghiamo la sedia da sotto al sedere continuando a iper garantire i garantiti e strozzando le vie daccesso al lavoro. Il mondo del turismo è una spettacolare cartina di tornasole di questo paradosso: il ministro competente Garavaglia ha chiesto prima un decreto flussi ad hoc per coprire con gli immigrati i posti di lavoro destinati a restare vacanti e poi vagheggiato di girare una parte del Reddito di cittadinanza a chi dovesse farci la cortesia di accettare un posto di lavoro. Inseguiamo la follia.

Lo sfruttamento, il black, le irregolarità sono realtà indegne di un Paese civile, ma si spazzano via – oltre che con la repressione e i controlli – generando un mercato sano. Lì dove la concorrenza sia sul piano della qualità e non più al ribasso (ai danni del cliente e del livello dei servizi), i più bravi e volenterosi avranno più opportunità. Saranno contesi ed essere contesi significa guadagnare di più. Non per decreto, ma perché il sistema produce meglio e distribuisce maggiormente. Se continueremo a prendercela con i “tempi moderni” manco fossimo dei Charlie Chaplin del Terzo millennio e a rimpiangere un passato che non è mai esistito, ci avviteremo in dibattiti sempre più inutili.

Prendete il Mezzogiorno, di cui accennavamo il disastro generazionale: larea a maggiore vocazione turistica, per certi aspetti baciata da madre natura oltre ogni immaginazione, sta registrando una vera e propria fuga. Non di cervelli ma di braccia, gambe, cuori e menti. Se ne va una percentuale sconvolgente di chi vuole lavorare e non vuole essere assistito. Ai tempi del boom e dell’emigrazione di massa, partiva la forza lavoro meno qualificata, oggi partono i più qualificati e intraprendenti e restano gli assistiti. Antipatico da scrivere e leggere? Preferiamo, da uomini del Sud, guardare in faccia la realtà e non prendere nessuno in giro.

Di Fulvio Giuliani

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