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Cassa depositi e prestiti

Cassa depositi e prestiti: il fondo inutile

Lo Stato italiano farà nascere un fondo di fondi per spingere gli investimenti verso le eccellenze italiane. Ma portare in Borsa società che capitalizzano poco costituisce un duplice errore e una duplice responsabilità

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Cassa depositi e prestiti: il fondo inutile

Lo Stato italiano farà nascere un fondo di fondi per spingere gli investimenti verso le eccellenze italiane. Ma portare in Borsa società che capitalizzano poco costituisce un duplice errore e una duplice responsabilità

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Cassa depositi e prestiti: il fondo inutile

Lo Stato italiano farà nascere un fondo di fondi per spingere gli investimenti verso le eccellenze italiane. Ma portare in Borsa società che capitalizzano poco costituisce un duplice errore e una duplice responsabilità

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Lo Stato italiano farà nascere un fondo di fondi per spingere gli investimenti verso le eccellenze italiane. Ma portare in Borsa società che capitalizzano poco costituisce un duplice errore e una duplice responsabilità


Lo Stato Italiano, attraverso il risparmio postale di Cassa depositi e prestiti, farà nascere un fondo di fondi dotato di un miliardo di patrimonio per spingere gli investimenti verso le eccellenze italiane, in particolare nelle medie imprese quotate a Piazza Affari. L’idea consiste nel promuovere un progetto di sistema, pubblico-privato, in modo da dare «ossigeno al mercato dei capitali» che giace asfittico, da sempre.

Il mercato azionario è la quintessenza del concetto di mercato in sé ed è, per sua natura, destinato essenzialmente a capitali privati. Se così non fosse si chiamerebbe Ministero delle Partecipazioni statali. L’idea di usare denaro pubblico per stimolare e ravvivare la borsa valori è niente più che una contraddizione in termini. La moda degli aiuti di Stato e dei bonus a chiunque ne faccia richiesta fa velo a troppi, se nessuno ha ancora obiettato che le Borse sono ai massimi di sempre e non necessitano di alcun aiuto pubblico. Fa tanto velo che nessuno ha neppure obiettato che i mercati esplodono di liquidità, detenuta dagli investitori istituzionali, i quali non sanno veramente come impiegarla se non investendo nelle aziende (quotate e non), visto che le obbligazioni offrono rendimenti poco attraenti e al di sotto dell’inflazione attuale.

Inoltre, il mercato borsistico italiano non funziona e non è rappresentativo della nostra economia. La ragione non è la mancanza di capitali. Innanzitutto le ragioni stanno nella storia industriale e imprenditoriale del nostro Paese, che ha sempre sottovalutato ed evitato la quotazione in Borsa come fonte di approvvigionamento di capitali, prediligendo il credito bancario. Da noi i capitali si vanno a cercare in banca, non sul mercato. Nel mondo anglosassone è il contrario.

E poi ci sono le ragioni giuridiche e procedurali, che vanno ben comprese e che sono di ostacolo alla crescita sana del mercato azionario. Infatti dalla Borsa Italiana gli imprenditori scappano e le società quotate sono in costante calo. Negli ultimi vent’anni sono più le società che sono uscite dalla Borsa di quelle che hanno deciso di quotarsi. Perché in Italia si pensa che abbassando i requisiti d’ammissione si migliori la qualità delle quotate, quando è esattamente il contrario. Come se una università, per migliorare il livello degli studenti, riducesse i requisiti d’ammissione: finirà che quelli bravi scappano e rimangono i ciucci. In Borsa Italiana – in particolare nel comparto Euronext Growth Milan (Egm) – ci si ostina a consentire delle finte quotazioni di aziende troppo piccole che non hanno le dimensioni giuste per affrontare il mercato. Non solo: si accetta un numero scarsissimo di azioni flottanti, insufficiente a creare un vero mercato fatto di scambi frequenti e liquidi.

A cosa può servire portare in Borsa società che capitalizzano poche decine di milioni di euro, alcune addirittura solo 5 o 6, quando gli investitori istituzionali gestiscono fondi da centinaia di milioni o addirittura miliardi? Portare in Borsa questo tipo di aziende costituisce un duplice errore e una duplice responsabilità: si ingannano gli imprenditori, a cui si vende una storia non vera, trascinando i medesimi in una trappola che di lì a breve condivideranno con i pochi risparmiatori che a loro volta hanno creduto di investire in una società quotata e invece si ritrovano con azioni che non possono beneficiare di scambi veri e propri. Un filotto micidiale.

Dunque a cosa serve versare un miliardo di euro di danaro pubblico in un contenitore così piccolo che non può contenerlo a causa di aziende microscopiche con poche azioni disponibili? Servirà a far fare una fiammata alle quotazioni (se tutto va bene…) per poi rivederle ammosciarsi, inevitabilmente, dopo poco, con il solito parco buoi dei piccoli risparmiatori che resterà con il classico cerino in mano.

E tutto questo proviene dal governo di destra che come prima cosa da fare voleva tassare le banche ma non c’è riuscito. Finirà con il far guadagnare alle banche una bella commissione dell’1,5% (perché di questo si sente parlare) per la gestione di un fondo di fondi pubblici sprecati.

Di Bancor

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