Competizione per il merito e talenti da valorizzare
L’economia italiana reale è più ferma di quanto dichiarano i dati dei bilanci aziendali e le stime dell’Istat. Abbiamo perso la competizione sulla meritocrazia ma non possiamo perdere quella sui talenti
Competizione per il merito e talenti da valorizzare
L’economia italiana reale è più ferma di quanto dichiarano i dati dei bilanci aziendali e le stime dell’Istat. Abbiamo perso la competizione sulla meritocrazia ma non possiamo perdere quella sui talenti
Competizione per il merito e talenti da valorizzare
L’economia italiana reale è più ferma di quanto dichiarano i dati dei bilanci aziendali e le stime dell’Istat. Abbiamo perso la competizione sulla meritocrazia ma non possiamo perdere quella sui talenti
L’economia italiana reale è più ferma di quanto dichiarano i dati dei bilanci aziendali e le stime dell’Istat. Abbiamo perso la competizione sulla meritocrazia ma non possiamo perdere quella sui talenti
L’economia italiana reale è più ferma di quanto dichiarano i dati dei bilanci aziendali e le stime dell’Istat. Il nostro Paese soffre di una cronica difficoltà a fare business: troppo forti appaiono la componente personale, famigliare e di conoscenza diretta in ogni attività aziendale; il condizionamento delle differenti categorie economiche (non faccio affari con te se non ti conosco, se non appartieni insomma al mio medesimo mondo professionale); la regolamentazione e la burocrazia. Chi lavora davvero quotidianamente e in ogni ambito professionale e industriale nel nostro Paese sa bene che la realtà è diversa dai numeri di bilancio che le maggiori imprese proclamano ogni giorno. Esiste ormai una scollatura insanabile fra il mondo della finanza e quello dell’economia reale: una cosa è dichiarare utili su previsioni future, un’altra è fare davvero business. Di quest’ultimo se ne fa davvero poco, anche perché siamo un Paese piccolo e con pochissimi clienti effettivi in ogni attività economica.
Abbiamo perso la competizione sulla meritocrazia ma non possiamo perdere quella sui talenti. In gran parte degli Stati occidentali evoluti la competizione sulla meritocrazia è stata persa perché si è dato privilegio alle categorie professionali e soprattutto alle relazioni sociali e familiari. Tutti noi cinquantenni in qualche modo arrivati nel nostro lavoro e nella nostra professione abbiamo beneficiato, chi più chi meno, di questo regime e abbiamo comunque ottenuto dei vantaggi superiori al nostro merito effettivo, al nostro ceto sociale di partenza e anche alle nostre potenzialità reali. Quello che non possiamo perdere adesso è la grande competizione sui talenti dei giovani che stanno scappando in massa dall’Italia per la perdita di fiducia nelle reali potenzialità del nostro Paese.
La nostra generazione di cinquantenni, comunque arrivata, dev’essere in grado di sviluppare i talenti dei giovani collaboratori. Per farlo occorre continuare a sviluppare la cultura del lavoro e non della ‘turbofinanza’, la cultura dell’execution e dell’eccellenza che ha reso i nostri servizi e la nostra produzione industriale di nicchia riconosciuti in tutto il mondo. Dobbiamo fare spazio alle persone eccellenti, in qualsiasi settore. Altrimenti ci rimetteremo tutti quanti, costretti a convivere con modeste crescite del Pil, con un’economia reale in grave affanno e con un’intera generazione che avrà scelto di andarsene all’estero per potersi finalmente misurare sul terreno di gioco del merito.
Di Christian Dominici
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