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Dazi e andazzi

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Nello scontro dei dazi sono emersi gli andazzi politici europei. Non un bello spettacolo. E no, non credo che il problema sia nell’accordo

Dazi

Dazi e andazzi

Nello scontro dei dazi sono emersi gli andazzi politici europei. Non un bello spettacolo. E no, non credo che il problema sia nell’accordo

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Dazi e andazzi

Nello scontro dei dazi sono emersi gli andazzi politici europei. Non un bello spettacolo. E no, non credo che il problema sia nell’accordo

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Nello scontro dei dazi sono emersi gli andazzi politici europei. Non un bello spettacolo. E no, non credo che il problema sia nell’accordo – nel presunto accordo – negoziato con Trump il taglieggiatore: tutti sapevano che il mandato dato alla Commissione europea e a Ursula von der Leyen era quello di evitare il protrarsi dello scontro, giungere a un accordo e minimizzare il danno. E tutti sappiamo che le migliori condizioni spuntate dal Regno Unito non dipendono da un più efficace approccio negoziale, ma dal fatto che l’odierna Casa Bianca lavora contro l’Unione Europea. Compiacendo il Cremlino. No, il problema è la pochezza di classi politiche e classi dirigenti (giornalismo compreso) che parlano il dialetto elettorale nazionale e sono pronte, come già in passato, ad autorizzare politiche europee da cui poi fingere di prendere le distanze. Un caso di duratura viltà, che alimenta la fuga dalla realtà di tanti cittadini europei.

La cosa è talmente paradossale che forze politiche e governanti consustanziali alla maggioranza politica che orienta la Commissione (debole perché forti sono gli antieuropeisti e i loro voti) non hanno risparmiato critiche al presunto accordo, mentre chi è contro quella maggioranza – come il governo italiano e chi lo guida – s’è dimostrato non solo meno severo ma addirittura solidale. E per forza, visto che a taglieggiarci è il loro idolo americano.

Facile e fellone dire che i dazi al 15% ci danneggiano – bella scoperta – senza avere il coraggio di ricordare che un conflitto prolungato non ci conviene affatto. Primo, perché siamo noi europei ad avere a che fare con un pericolo esistenziale e reale, ovvero la minaccia armata russa e l’annunciato disimpegno americano. Limitato alle parole, ma parole pesanti. E volgari. Secondo, perché a esportare negli Stati Uniti ci guadagniamo e continueremo a guadagnarci, sicché far saltare il tavolo per dimostrare d’essere nerbodotati avrebbe comportato una responsabilità che nessuno – dicasi nessuno – s’è preso.

Senza contare che rompere sulla seconda cosa avrebbe aggravato la prima. Si può attaccare Trump su dollaro e finanza, ma mettendo nel conto lo scontro frontale. E no, non siamo in grado di reggere un doppio fronte, cui andrebbe aggiunto il terzo della Cina che sorregge la Russia e penetra tecnologicamente in Europa, nonché un quarto dell’Africa in cui lo scemato peso militare non possiamo compensarlo con fanfare e bacetti.

Illudere le opinioni pubbliche con potenze che non ci sono significa imboccare la via del delirio. Raccontare alle opinioni pubbliche d’essere impotenti significa imboccare la via della depressione. Molti presunti leader europei sono riusciti a fare l’una e l’altra cosa. Molte cattedre li hanno dottamente festeggiati. Molti giornalisti li hanno chiassosamente rilanciati. Un esercizio circense autolesionista che sarebbe stato saggio risparmiarsi.

Veniamo al da farsi, perché la storia va avanti anche se si fanno storie a capirla e viverla. La globalizzazione non è finita, ma non basta più viaggiare con il campionario e sono necessarie coperture e scelte politiche. Si fanno con gli accordi commerciali e la creazione di nuove aree di libero scambio, ma dall’invasione dell’Ucraina in poi devi anche dimostrare all’interlocutore che se ti mollano uno sganassone sai far altro che non frignare. Quindi lo spirito europeo che non china la testa e non piega la schiena riparte da una possente spinta alla difesa comune, conservando e socializzando i due ombrelli atomici esistenti. Se ci saranno (e ci saranno) opposizioni, si procede comunque con la cooperazione rafforzata: chi ci sta sale a bordo, chi vuole rinviare faccia pure, a chi non vuole salire tanti saluti.

Quanti volevano un’Ue più nerboruta prestino attenzione al loro stesso peso elettorale europeo, perché si fa presto a lamentarsi di non avere il riparo metallico ma si rischia anche di perdere le mutande europee e ritrovarsi battuti da nazionalisti prontissimi a svendere la nazione alla Casa Russa.

di Davide Giacalone

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