Elettrico 2035: l’Italia accenda i motori
Elettrico 2035: l’Italia accenda i motori
Elettrico 2035: l’Italia accenda i motori
La sostanza non cambia e bisogna essere intellettualmente onesti: la strada imboccata è quella dell’elettrico senza sconti. Una data serve, per indicare un traguardo e impostare il cammino, ma resta pur sempre solo un limite massimo. L’industria italiana del settore e il famoso ‘indotto’ – quella miriade di aziende medie, piccole o piccolissime legate all’auto – non hanno più alcuna alternativa a mettersi a lavorare sulle opportunità offerte dalla elettrificazione della mobilità (sarebbe stato meglio anticiparsi, ma ciò che è fatto è fatto).
Non ne possiamo più di gente che urla alla fine dell’industria automobilistica italiana manco siano luddisti del Terzo millennio. Tutto tempo sprecato e un pessimo segnale al settore, che invece dovrebbe metter giù la testa e programmare la transizione. Continuare a ripetere che il futuro sarà tutto cinese, perché finiremo per dipendere completamente dalla fabbricazione di batterie del Dragone, è solo un’arma dialettica tanto efficace quanto banale. Tutto il mondo industriale avanzato si sta attrezzando a gran ritmo per affrancarsi dalla dipendenza da Pechino in materia.
In questi mesi abbiamo dolorosamente sperimentato quanto siano pericolose altre dipendenze, come quella energetica, della quale abbiamo cominciato a liberarci solo con lo scoppio della tragedia ucraina. Dovremmo imparare da questa dolorosa esperienza e farci guidare dall’esempio di Paesi a noi vicini. La Germania – almeno in parte al nostro fianco nel provare a chiedere all’Unione tempi di transizione più morbidi – è la stessa che ha autonomamente anticipato la scadenza interna dell’addio a benzina e diesel dal 2035 al 2030. Scelta saggia, per spingere la gigantesca industria automobilistica teutonica a non perder tempo e prepararsi. Sempre il governo di Berlino sta favorendo ingenti investimenti nella ex Germania Est nel settore della ricerca, sviluppo e produzione di batterie. Perché è nelle aree economicamente più depresse dell’ex Ddr che la Germania è convinta di poter costruire il nucleo della propria risposta all’egemonia cinese nel settore. Si chiama programmazione e converrebbe prendere appunti.
I capitali richiesti per le Gigafactory – le industrie che producono le batterie e altra componentistica per le auto elettriche – sono enormi e in Italia ci siamo mossi in ritardo e scoordinati. Non c’è alcuna condanna, però, a che questa realtà risulti immutabile. Il nostro tessuto produttivo ha una magnifica storia di inventiva e capacità di adattamento, ciò di cui ha bisogno è la programmazione delle risorse necessarie a sostenere la transizione e a stimolare il comparto a reinventarsi. Diciamo pure l’esatto opposto dello spettacolo offerto dalla politica in questi giorni. Perché bisogna essere chiari: nulla sarà come prima ed è pericolosamente consolatorio pensare che qualcosa possa riportare indietro le lancette della storia.
Abbiamo già avuto modo di scrivere come la “guerra delle batterie” sia appena cominciata, coinvolgendo tutti i colossi mondiali. La componentistica di oggi non sarà quella di domani e le aziende italiane hanno un gigantesco foglio bianco davanti a sé. Scoppiamo di opportunità, a patto di non tradire il nostro Dna che resta fatto di inventiva, fantasia imprenditoriale e capacità di adattamento.
di Fulvio GiulianiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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