Energia green e fragilità della partita in Europa
| Economia
Nel 2020 la produzione europea di energia elettrica da fonti rinnovabili ha raggiunto il 42% Ma l’energia green ha un grande problema.

Energia green e fragilità della partita in Europa
Nel 2020 la produzione europea di energia elettrica da fonti rinnovabili ha raggiunto il 42% Ma l’energia green ha un grande problema.
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Energia green e fragilità della partita in Europa
Nel 2020 la produzione europea di energia elettrica da fonti rinnovabili ha raggiunto il 42% Ma l’energia green ha un grande problema.
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Oggi un appartamento consuma quanto un’intera città del 1700. La crescita tecnologica avviene in maniera direttamente proporzionale alla necessità energetica e questi due parametri crescono insieme in una curva esponenziale sempre al rialzo.
Tutto ha inizio con la rivoluzione industriale, quando le macchine cominciarono a sostituire l’uomo nella forza lavoro. Era la fine del 1700 e il carbone divenne il primo combustibile fossile a essere utilizzato. Nel primo Novecento i costi di estrazione si alzarono eccessivamente tanto che l’attenzione si spostò verso un liquido più economico: il petrolio. Negli anni Quaranta ne vennero scoperti enormi giacimenti in Medio Oriente e questi permisero il boom economico e la ricostruzione dell’Europa post bellica. Dopo il 1970 le riserve petrolifere cominciarono a esaurirsi e l’attenzione passò a un altro idrocarburo: il gas. L’Europa si affidò sempre più ai gasdotti russi e così nei decenni successivi la dipendenza da questo nuovo carburante diventò rilevante.
È in questo contesto che presero piede le centrali nucleari a fissione. In Europa queste producono il 30,5% dell’energia elettrica, ma il disastri di Chernobyl prima e di Fukushima dopo hanno cambiato le carte in tavola. La Germania ha chiuso otto dei suoi reattori. L’Italia con due referendum ha scelto di non volerne. La Spagna ne ha vietato la costruzione di nuove. La Francia da grande esportatore di energia elettrica comincia oggi a essere in crisi: le sue centrali nucleari sono sempre più vecchie, alcune hanno 40 anni e richiedono continue manutenzioni e spegnimenti.
Per tutti questi motivi l’Unione europea sta investendo molto sulle fonti energetiche rinnovabili. Il suo obiettivo è raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, ma anche essere indipendente dai carburanti fossili che è costretta a importare dall’estero. Nel 2020 la produzione europea di energia elettrica da fonti rinnovabili ha quindi raggiunto il 42%, mentre l’estrazione interna di combustibili fossili è stata minimale: petrolio 3,7%, gas 7,2%, carbone 14,6%. Ma le fonti energetiche “green” hanno un problema: non sono programmabili; ci sono momenti di alta produzione e altri di calo energetico rilevante. In particolare sole e vento non permettono un’erogazione costante e non abbiamo concrete capacità di accumulo, se non con improponibili enormi batterie al litio anch’esse inquinanti.
Il vero problema della dipendenza dai combustibili fossili è infatti trovare il modo di immagazzinare in modo sostenibile l’energia da fonti rinnovabili per erogarla al bisogno. Per far fronte a questo il progetto più interessante è la “batteria” a CO2 in sperimentazione in Sardegna. L’anidride carbonica viene compressa durante il giorno grazie all’energia solare e poi rilasciata di notte, in forma di vapore, per generare energia elettrica tramite una turbina.
Analizzando tutta la questione si capisce quindi l’enorme rilevanza e la fragilità della partita energetica in Europa. L’Ue non ha altre soluzioni se non quella di sviluppare sistemi di accumulo energetico sostenibili e centrali nucleari sicure. Bisognerebbe investire su reattori a fissione di ultima generazione ma soprattutto sulla tecnologia a fusione di atomi di idrogeno a confinamento magnetico che tutti aspettano da decenni.
Di Massimiliano Fanni Canelles
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