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Evasivi

In Italia sostenere un limite al contante cinque volte superiore all’attuale finisce per far pensare ad atteggiamenti “permissivi”.
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In Italia sostenere un limite al contante cinque volte superiore all’attuale finisce per far pensare ad atteggiamenti “permissivi”.
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In Italia sostenere un limite al contante cinque volte superiore all’attuale finisce per far pensare ad atteggiamenti “permissivi”.
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In Italia sostenere un limite al contante cinque volte superiore all’attuale finisce per far pensare ad atteggiamenti “permissivi”.
Sul limite dell’uso del contante, un tema che si è preso la scena con la replica della presidente del Consiglio in occasione del dibattito sulla fiducia in Senato, si confrontano da sempre due mondi. Se è vero, infatti, che in Europa molti Paesi non conoscono alcun limite – si pensi alla Germania, dove puoi comprare cash una casa (ma la spesa resta tracciata) – è altrettanto arduo sostenere che in Italia un limite al contante cinque volte superiore all’attuale non finisca per far pensare ad atteggiamenti “permissivi”. Abbiamo, come dire, uno storico leggermente diverso da quello tedesco o austriaco per non fare brutti pensieri. Il centrodestra ha sempre contestato questa visione, vivendo il limite all’uso del cash come un’ansia di controllo del cittadino, nelle sue piccole attività quotidiane. Solo che, andando sempre più verso un mondo digitalizzato e dominato dalle transazioni elettroniche, è arduo pensare a gente in giro con 10mila euro in tasca. Per far cosa? Tant’è vero che, piuttosto, abbiamo il problema dei tanti piccoli centri in cui sono spariti i bancomat, con la progressiva riduzione degli sportelli bancari. Se nelle grandi città compaiono sempre più degli Atm con commissioni ben più elevate di quelle praticate dalle banche, nei piccoli centri ritirare il contante può essere semplicemente un’impresa. Tema apparentemente accessorio, ma che dimostra come l’uso del cash vada estinguendosi. L’argomento, insomma, non dovrebbe essere approcciato in forma ideologica o (peggio) moralistica. Ovviamente ci stiamo occupando di transazioni legali (per quelle illegali, difficile porsi il problema) e l’aspetto centrale resta quello della tracciabilità dei movimenti di denaro. Ferma restando l’assoluta libertà di spendere come preferiamo i nostri soldi e di doverlo poter fare nel più rigoroso rispetto della privacy, crediamo sia difficile non concordare su quest’esigenza ai fini di lotta all’evasione fiscale. Per tutto ciò, è legittimo cercare la ratio dell’intervento annunciato da Giorgia Meloni in un più generale piano di interventi di natura fiscale. In questo ambito i segnali politici vanno nel solco di una presenza meno opprimente – diciamo così – del fisco. Intenzione lodevole di suo, tanto per essere chiari, ma che nel nostro Paese finisce inevitabilmente per far pensare all’immancabile esercito dei furbetti. Spieghiamo bene il ragionamento, anche perché si tratta di misure abbondantemente anticipate in campagna elettorale e non di sorprese dell’ultimo minuto: quando si annunciano la “tregua fiscale”, un innalzamento brusco del limite all’uso dei contanti e una rimodulazione dei controlli dell’Agenzia delle entrate è indiscutibile che a festeggiare siano (anche) coloro che le tasse le hanno pagate con minore regolarità (eufemismo) o versato l’Iva con entusiasmo a singhiozzo, per essere buoni. Per tacere di multe e contravvenzioni di varia natura che, per quanto spesso cervellotiche e insopportabili, qualcuno le ha pure regolarmente pagate e altri no. Un po’ di sale sulle ferite, insomma, viene sparso, mentre una tassa del 15% per le partite Iva fino a un reddito di 100mila euro richiederebbe almeno un intervento di pari impatto sul mondo del lavoro dipendente. L’annunciata riduzione del 5% del cuneo fiscale, in materia, resta nelle nebbie per quanto riguarda l’imprescindibile copertura finanziaria. In giorni in cui abbiamo fatto un gran parlare di terminologie, anche la scelta semantica della “tregua fiscale” è significativa: nessuno vuole sentire parlare di condono, ma l’eventuale cancellazione delle cartelle sino a una determinata soglia o il pagamento di una loro percentuale potremo chiamarli “tregua” o come vogliamo, ma sempre condono resterebbero. Terreno di furibondo e vecchio scontro politico-ideologico, ma in fin dei conti ennesima pernacchia a chi con lo Stato è sempre risultato in regola per coscienza o costrizione, mentre l’esercito dei furbi aspetta paziente l’immancabile, penultimo condono. Di Fulvio Giuliani

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