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Fincantieri

Fincantieri vuole un futuro globale

Le scelte strategiche di Fincantieri, ambiziose e in linea con il ruolo di leadership globale del Made in Italy in un mercato sempre più competitivo
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Fincantieri vuole un futuro globale

Le scelte strategiche di Fincantieri, ambiziose e in linea con il ruolo di leadership globale del Made in Italy in un mercato sempre più competitivo
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Fincantieri vuole un futuro globale

Le scelte strategiche di Fincantieri, ambiziose e in linea con il ruolo di leadership globale del Made in Italy in un mercato sempre più competitivo
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Le scelte strategiche di Fincantieri, ambiziose e in linea con il ruolo di leadership globale del Made in Italy in un mercato sempre più competitivo
Le scelte strategiche di Fincantieri, condensate nel piano industriale 2023-2027, sono ambiziose e in linea con il ruolo di leadership globale nel proprio segmento di mercato: la costruzione di grandi navi da crociera e di quelle per i lavori offshore. Quanto al settore delle costruzioni militari, Fincantieri sta acquistando costantemente maggior rilievo internazionale grazie a commesse dal rilevante peso geostrategico. Il rapporto privilegiato con la Marina Militare italiana è una straordinaria garanzia di investimenti ad altissimo contenuto tecnologico. Un perimetro industriale sempre più ampio, in cui l’azienda italiana vuole giocare le sue carte anche nei confronti dei competitor coreani e cinesi concentrati nel segmento delle grandi navi da carico. Fincantieri è convinta di avere a disposizione un know-how tecnologico decisamente superiore ai concorrenti del Far East e di poter recitare un ruolo preminente a livello globale in ogni ambito delle costruzioni navali. Affascinante e ancora ben poco esplorato – letteralmente – il settore subacqueo, che nei prossimi decenni acquisterà rilevanza strategica sia militare che civile. Ci sono i numeri a sostenere queste ambizioni, con un fatturato che con la filiera di fornitori arriva a un aggregato di 158 miliardi di euro (pari all’8% del Pil italiano) e mezzo milione di dipendenti (circa 11mila quelli diretti) e collaboratori. Sono oltre 6mila le aziende dell’indotto che alimentano e sostengono il lavoro dei 18 stabilimenti del gruppo in quattro Continenti. C’è soprattutto una visione nella quale Fincantieri è un vero e proprio ambasciatore del Made in Italy ai massimi livelli, anche geostrategici. Da questo punto di vista, l’enorme esperienza in campo militare consente di operare e intessere relazioni con le Marine di numerosi Paesi privi di una capacità costruttiva autonoma. Non nazioni di secondo piano, come nel caso dei Paesi del Golfo Persico che in alcuni casi sono costituite pressoché interamente da unità uscite dai cantieri del gruppo italiano. Questa è un’industria che ‘pesa’ in termini geopolitici e il cui valore non può essere calcolato soltanto con il fatturato e l’utile. Martedì scorso, a Genova, Fincantieri ha lanciato una call to action all’intera propria filiera, chiedendo alle oltre 200 aziende presenti (in rappresentanza di tutti i fornitori del gruppo) di sposare e contribuire alla visione di Fincantieri per i prossimi anni. Quest’ultima sarà incentrata su una forte spinta sul digitale, sul green e sui fattori Esg. In particolare, la transizione energetica è per l’amministratore delegato Pierroberto Folgiero una gigantesca opportunità in grado di traghettare l’azienda nell’era digitale. Contrariamente a una certa lettura di misure soffocanti e contrarie agli interessi industriali italiani, gli obiettivi Esg costituiscono per Folgiero il futuro in termini di business di Fincantieri. Un vanto della nostra manifattura, che si pone come capofila della navalmeccanica europea nella partita mondiale del settore. Fincantieri è testimone anche di difficoltà crescenti con cui fare i conti: è sempre più arduo reclutare personale altamente formato, indispensabile in un lavoro sempre più complesso e specializzato. Si fa fatica a trovare anche chi sia disponibile alle posizioni più umili – non si deve aver paura di usare questo aggettivo – puntando a un percorso di crescita professionale in azienda. Una lezione, amara, che arriva dall’esperienza di una grande storia industriale italiana. di Fulvio Giuliani

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