Finita l’era dei pavoni blu
Entro l’approvazione dei bilanci 2024 assisteremo alla sostituzione dei ceo di molte imprese e banche di medio livello in Italia
Finita l’era dei pavoni blu
Entro l’approvazione dei bilanci 2024 assisteremo alla sostituzione dei ceo di molte imprese e banche di medio livello in Italia
Finita l’era dei pavoni blu
Entro l’approvazione dei bilanci 2024 assisteremo alla sostituzione dei ceo di molte imprese e banche di medio livello in Italia
Entro l’approvazione dei bilanci 2024 assisteremo alla sostituzione dei ceo di molte imprese e banche di medio livello in Italia
Entro l’approvazione dei bilanci 2024 assisteremo alla sostituzione dei ceo di molte imprese e banche di medio livello in Italia. È un momento auspicabile e cruciale per il nostro Paese, da non sottovalutare per la grandissima portata innovativa che può generare.
Gli anni Novanta e i primi anni Duemila avevano consacrato l’era dei super consulenti aziendali: negli Stati Uniti McKinsey e tutte le altre società di consulenza, in Italia i più prestigiosi studi legali. Gli anni dal 2010 in avanti hanno visto invece il progressivo tramonto dei grandi studi professionali (il panorama europeo e soprattutto italiano è rimasto troppo piccolo, da noi le più grandi operazioni di M&A dopo 30 anni riguardano ancora Telecom e non si è creato nessun vero e nuovo player mondiale) in favore dei ‘pavoni blu’, i ceo delle più importanti aziende europee e italiane che hanno preso la scena con i loro super compensi annuali di svariate decine di milioni di euro. Avevano grandi visioni, dovevano prevedere il futuro, cambiare le sorti delle loro aziende, ma sarebbe persino bastato che salvassero le loro imprese dal fallimento o dalla crisi imperante. Di certo di previsioni non ne hanno azzeccate troppe.
Settore automotive: il problema non è la transizione green, il problema è trovare una nuova combinazione prodotto-mercato-tecnologia che renda il prodotto vendibile alle nuove generazioni, non interessate alla proprietà dei beni ma soltanto al loro utilizzo. Quando negli anni Sessanta Fiat doveva vendere la Fiat 500, non ha mai cercato di farlo a prezzo intero (inarrivabile per le famiglie normali), ma aveva trovato l’allora innovativa soluzione della vendita a rate tramite una propria finanziaria che consentiva a tutti di acquistare l’auto e di pagarla con cambiali mensili. Oggi lo stesso ragionamento si può probabilmente fare con le auto elettriche per l’utilizzo quotidiano delle famiglie: o il bene costa molto poco (le auto cinesi a meno di 10mila euro) oppure dev’essere proposto in sharing con formule differenziate per le grandi città e per i piccoli centri urbani.
Settore moda. In questi ultimi decenni ceo e direttori creativi (siamo rimasti agli anni Ottanta) di tutti i brand italiani sono riusciti a farsi erodere quote di mercato nell’ordine da Zara, H&M, poi dai siti di vendita della moda low cost e infine dai francesi che – unici – hanno acquistato tutto il settore dell’extra lusso e creato veri campioni mondiali. Possibile che i ceo strapagati di questo settore per decenni siano riusciti a non vedere nulla di tutto questo?
Settore banche: tranne i top player italiani che hanno correttamente iniziato la loro espansione verso gli altri istituti di credito europei – perché ormai se non hai dimensioni almeno continentali non puoi stare sul mercato – assistiamo ancora a sedicenti banche specializzate e di livello locale in cui i costi amministrativi e degli stipendi dei ceo sono quasi più elevati dei margini bancari. Non si tratta nemmeno più di formare delle agglomerazioni a livello Italia, si tratta di formare dei gruppi di rilievo almeno europeo.
Esiste poi un altro problema che negli anni Novanta le società di consulenza americane – e più recentemente i fondi di investimento nel Regno Unito e negli Usa, strutture d’investimento con logiche di gestione medioevali e solo apparentemente moderne – hanno abilmente instillato nelle nostre menti: il business si fa soltanto fra persone che provengono dagli stessi mondi. Qui non solo ne perdiamo in termini di merito, ma arriviamo a chiuderci completamente e a non vedere più alcun cambiamento esterno, perdendo di fatto completamente la guida delle nostre aziende verso qualunque innovazione di settore.
Un Paese come il nostro, che per tanti anni ha dimenticato il valore fondamentale del merito e della meritocrazia, a mio avviso deve approfittare di questo periodo di crisi e soprattutto di disorientamento degli altri Paesi europei per avviare un grande rinnovamento nella guida delle proprie aziende e banche, per sostituire il ‘pavone blu’ visionario che prevede il futuro con veri capi azienda che provengano dalla gestione operativa e anche da mondi diversi. Soltanto chi sa gestire il proprio business non solo prevedrà il futuro ma anticiperà anche le innovazioni dei nuovi entranti.
di Christian Dominici
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche