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Frontiere e tassi d'interesse

Frontiere e tassi d’interesse

Frontiere e tassi d’interesse sono temi diversi? Forse no e nella loro vicinanza si trova il metodo giusto per affrontarli
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Frontiere e tassi d’interesse sono temi diversi? Forse no e nella loro vicinanza si trova il metodo giusto per affrontarli
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Frontiere e tassi d’interesse sono temi diversi? Forse no e nella loro vicinanza si trova il metodo giusto per affrontarli
Frontiere e tassi d’interesse sono temi diversi e distanti. Ma forse no ed è nella loro vicinanza che si trova il metodo per affrontarli. Ciò che ci preme è difendere le nostre frontiere e la nostra moneta, la sicurezza e il potere d’acquisto, la crescita e il risparmio. Ci preme difendere la nostra sovranità non come strumento d’offesa verso altri, come fu e ancora è (si guardi alla Cina o alla Russia) il nazionalismo, ma come condizione per rendere effettivi lo Stato di diritto e la competizione di mercato. Noi europei non abbiamo tutti gli stessi interessi, sicché si lotta ciascuno per far prevalere i propri. Ma non abbiamo gli stessi interessi neanche fra noi italiani, non li abbiamo fra abitanti di una stessa regione e manco nel medesimo condominio. Ma abbiamo il comune interesse a che, una volta affermato il metodo democratico e stabilita la direzione di marcia, si abbia la forza di non finire in balìa degli eventi o delle volontà altrui. Nessuno dei nostri Paesi ha la forza per affrontare quei problemi in solitudine. Avrebbe perso in partenza. Quel che succede a Lampedusa è drammatico e dovrebbe far capire l’evidenza: si può essere a favore o contro le chiusure e i blocchi navali, ma quel che prevale è che non si ha la forza di fare né l’una né l’altra cosa. Al governo si trova chi li propose, ma non li attua perché sono impossibili. La forza va trovata altrove: perché Lampedusa sia frontiera europea non serve un pistolotto retorico, serve trasferirne la difesa alle autorità dell’Unione, serve cedere sovranità formale per avere sovranità sostanziale. Salvataggi, sbarchi, centri di raccolta, identificazione, destinazione e rimpatri siano tutte competenze Ue, con diritto Ue e non con diritto nazionale. Che si agisca noi o altri, lo faremo a nome e per conto dell’Ue. Con tutte le conseguenze, anche economiche, che questo comporta. Il governo che volesse difendere gli interessi italiani si batterebbe per questo, non per redistribuzioni secondarie che non funzionano, non funzioneranno e se anche funzionassero non risolverebbero, ma diffonderebbero il problema. I sondaggi indicano che l’immigrazione non è in testa ai timori degli italiani. Giustamente, perché non si tratta di un’emergenza, ma di una permanenza. In cima alle preoccupazioni ci sono la perdita di potere d’acquisto e l’aumento dei prezzi, vale a dire l’inflazione. Chi è troppo indebitato guarda con favore all’inflazione (che toglie valore al debito) e con terrore al rialzo dei tassi d’interesse (che fa crescere il costo dell’indebitarsi). Chi ha molto risparmiato guarda l’inflazione con terrore (che toglie valore a quanto ha accumulato) e con speranza al rialzo dei tassi. Noi abbiamo uno Stato troppo indebitato e cittadini che hanno molto risparmiato. Siamo in cima a entrambe le classifiche europee. Il nostro interesse a difendere il potere d’acquisto si accompagna al timore che la stretta monetaria accentui il rallentamento della crescita. Quindi abbiamo interesse a che i tassi (un po’ più) alti, e che lì resteranno a lungo, si accompagnino a capacità di debito e spesa Ue. Come per la transizione energetica, il fondo per la disoccupazione e Ngeu. È la forza dell’Unione a rendere credibili i due obiettivi. Ieri la Bce ha alzato ancora i tassi di un quarto di punto, perché la cura ha funzionato e l’inflazione è scesa, ma la posologia chiede ancora un’altra dose. Mesi fa, quando la terapia è iniziata, scrivemmo che si sarebbe giunti a 4 o 4,50. Dove ora siamo. Dovrebbe bastare e l’inflazione scendere ancora. Frontiere e tassi descrivono i contorni di una scelta politica. Da farsi in un mondo in cui c’è una guerra imperialista alla frontiera, un nazionalismo a Oriente e una democrazia stanca a Occidente. L’Ue è giovane ed è tempo che diventi adulta. Scegliere il nazionalismo isolazionista è il suicidio della sovranità. Scegliere d’essere la coda lamentosa e riottosa, interprete di un vittimismo da inferiori è, nel migliore dei casi, una politica inutile. Come l’usare i problemi per polemizzare, senza risolverli. di Davide Giacalone

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