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I dazi sono vecchi quanto il mondo, come i modi per aggirarli

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I dazi (in positivo e in negativo) non li scopriamo certo adesso. Sono sempre esistiti per generare un gettito contenuto o per compensare aiuti di Stato altrui. Usarli come arma geopolitica è invece tutta roba di Trump

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I dazi sono vecchi quanto il mondo, come i modi per aggirarli

I dazi (in positivo e in negativo) non li scopriamo certo adesso. Sono sempre esistiti per generare un gettito contenuto o per compensare aiuti di Stato altrui. Usarli come arma geopolitica è invece tutta roba di Trump

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I dazi sono vecchi quanto il mondo, come i modi per aggirarli

I dazi (in positivo e in negativo) non li scopriamo certo adesso. Sono sempre esistiti per generare un gettito contenuto o per compensare aiuti di Stato altrui. Usarli come arma geopolitica è invece tutta roba di Trump

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Tutti ricordiamo l’iconica scena del film cult “Non ci resta che piangere” (1984) in cui Benigni e Troisi sono alle prese con il gabelliere di turno. «Chi siete? Cosa portate? Quanti siete? Un fiorino!». Un mitico, ricorsivo siparietto. Ma non basta. Perché i dazi (in positivo e in negativo, come vedremo) non li scopriamo certo adesso. Sono sempre esistiti per generare un gettito contenuto – grazie alla ricchezza che arriva dall’estero – o per compensare aiuti di Stato altrui. I dazi come arma geopolitica sono invece tutta roba di Trump.

Le gabelle ‘classiche’ esistevano già nella storica ‘mezzaluna fertile’ della Mesopotamia (leggi Hammurabi) più di 3mila anni prima di Cristo. Sono infatti stati trovati contratti commerciali, vergati con scrittura cuneiforme su tavolette d’argilla, in cui venivano registrate queste ‘tasse sugli scambi’. Del resto ancora oggi in diverse località (per esempio a Milano) nei quattro punti cardinali ci sono ancora le vestigia delle porte di accesso. Dove c’erano i gabellieri. I baby boomer possono forse ricordare gli slalom che si escogitavano per dribblare il dazio nostrano. Ovvero la tassa applicata ai beni che attraversavano i confini tra i Comuni. I commercianti rinforzavano ad esempio le balestre delle automobili per non dare nell’occhio quando contrabbandavano merci, compresi i vitelli provenienti dal contado. Quella vera e propria tassa particolarmente invisa al popolo venne abolita in Italia solo nel 1972, dopo oltre quarant’anni di vita.

Comunque i dazi, già esistenti anche presso i greci e i romani (come pure le ‘zone franche’) risalgono sostanzialmente al Medioevo. Non per niente Benigni e Troisi ambientarono il loro film proprio sul finire di quel periodo. Il tema è scivoloso perché guerre commerciali, evasione fiscale, alleanze e conflitti bellici s’intrecciano. Essendo connessi alla territorialità e ai confini, questi tributi – perché di siffatta configurazione si tratta, a chiamarla con il suo nome – erano (come d’altra parte lo sono tuttora) collegati alla sovranità statale e avevano lo scopo di regolare gli scambi.

La funzione delle dogane (presidiate dai soldati, come pure oggi dalla Guardia di Finanza) era quindi anche di carattere militare. Poiché si occupavano della difesa del confine e della protezione dei commerci e delle carovane. Già allora però l’istituzione dei diritti sulla merce in entrata e in uscita dal territorio determinava la diffusione di condotte finalizzate all’evasione delle gabelle. Come sempre succede in questi casi.

Una particolare categoria di prerogative fiscali – se così vogliamo chiamarle – è rappresentata dalle zone franche. Il primo esempio corroborato da fonti storiche certe viene dall’antica Grecia. Si tratta della piccola isola egea di Delo. I Romani vi istituirono il porto franco fin dal 166 a. C. in seguito alla Terza guerra di Macedonia. Lo scopo era quello di punire la vicina Rodi. Colpevole – secondo la classica strategia delle alleanze seguita da Roma – di non averli sostenuti nella guerra contro Perseo. Grazie ai vantaggi concessi ci fu un notevole incremento dei commerci con Grecia, Siria ed Egitto. Di conseguenza Delo divenne uno dei più importanti centri internazionali di stoccaggio del Mediterraneo.

Un altro esempio ce l’abbiamo in casa. Il decollo economico di Trieste è infatti avvenuto grazie a Maria Teresa d’Austria. Che trasformò la città nello scalo dell’impero austroungarico in seguito all’istituzione del porto franco, il 18 marzo 1719. Due anni prima suo padre Carlo VI d’Asburgo aveva deciso la libera navigazione nell’Adriatico. A ben vedere che cosa racchiude quello che viene chiamato “porto franco”? Non sono altro che ‘dazi negativi’, cioè tutta una serie di prerogative – e non soltanto gabelle, esattamente come avviene con le tariff di Trump – che agevolano appunto l’attività economica. Poi sono arrivati il Gatt nel 1947 e la Wto nel 1995. Ma questa è un’altra storia.

Di Franco Vergnano

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