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Il mercato e l’influenza politica

Mercato. Nessuno ha deciso di “affondare l’Italia” perché al governo andrà Giorgia Meloni. Questa lettura è di insopportabile provincialismo
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Mercato. Nessuno ha deciso di “affondare l’Italia” perché al governo andrà Giorgia Meloni. Questa lettura è di insopportabile provincialismo
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Mercato. Nessuno ha deciso di “affondare l’Italia” perché al governo andrà Giorgia Meloni. Questa lettura è di insopportabile provincialismo
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Mercato. Nessuno ha deciso di “affondare l’Italia” perché al governo andrà Giorgia Meloni. Questa lettura è di insopportabile provincialismo
Il mercato, questa misteriosa realtà sempre utile quando si deve descrivere un mondo immaginario ostile all’Italia e agli italiani, non è un animale mitologico nascosto in qualche labirinto. Non vive e non si muove mosso da antipatie e simpatie. È un universo di professionisti, rappresentanti di interessi fra i più diversi ma sempre identificabili. Legati a obiettivi riassumibili nel profitto e nella sostenibilità nel tempo delle proprie azioni. Nessuno di loro ce l’ha con noi. Nessuno ha deciso di “affondare l’Italia” perché al governo andrà Giorgia Meloni. Questa lettura è di insopportabile provincialismo. Il mercato, fra le mille altre cose, giudica l’affidabilità di chi chiede di essere finanziato. Che sia un privato, un’azienda o uno Stato, in fin dei conti non è mai diverso. Se siete molto indebitati è del tutto logico che risulti più costoso – perché più rischioso per chi decida di prestarvi soldi – stare sul mercato. Tradotto, non è ‘colpa’ di quella galassia di soggetti che finanziano il debito italiano se quest’ultimo lo abbiamo fatto letteralmente esplodere. La responsabilità è nostra, così come è nostro il merito di essere stati sempre ottimi pagatori. Soggetti affidabili, in estrema sintesi, anche se un po’ amanti del rischio. L’Italia corre sul filo da anni per non essere un’osservata speciale. Deve troppo – per quanto sia urticante ricordarlo a molti cantori del sovranismo – alla protezione della Banca centrale europea e più in generale dell’Unione per non essere soggetta a valutazioni scrupolose. È proprio la forza della nostra economia a ‘condannarci’ a un’attenzione particolare. Perché meravigliarsi? Siamo i maggiori destinatari di fondi del Next Generation Eu. Siamo i principali beneficiari dello scudo anti spread appena attivato dalla Bce. Per quale misterioso motivo gli Stati che hanno impegnato in queste operazioni soldi frutto delle tasse pagate dai propri cittadini non dovrebbero almeno interessarsene? Amiamo starnazzare in favore di telecamere e social perché così facciamo vedere di essere duri e puri. Quelli che non hanno paura, senza capire che a far paura siamo proprio noi quando ci comportiamo in questo modo, se visti dall’estero. Prima che qualcuno confonda idee e acque, per ora non è successo niente: lo spread intorno quota 254 e la flessione in Borsa di ieri sono nulla. Lo specchio dell’attesa e dell’umanissimo dubbio. La risalita dei tassi di interesse sul nostro debito è un fenomeno in corso da mesi, frutto inevitabile della lotta delle banche centrali all’inflazione. Continuerà così ed è bene ribadirlo prima che qualcuno favoleggi di inesistenti piani contro lo Stivale. Citiamo a conforto della nostra tesi l’analisi di Mts, la società che si occupa della gestione del mercato dei titoli di Stato italiani: «Dai movimenti dei mercati osservati nell’immediato post-elettorale ci sembra di poter constatare come gli operatori economici si siano già posizionati nelle scorse settimane. Qualche nota più allarmistica, soprattutto proveniente da media esteri, non si è tradotta in situazioni di panico sul mercato dove si registrano scambi costanti e ordinati ed è presente un fisiologico rialzo dei rendimenti. Il differenziale con il Bund tedesco rimane sotto controllo, positiva la prestazione dell’azionario. Andamenti simili sono presenti negli altri maggiori debiti europei». Interessante il passaggio dedicato alla valutazione di quanto sta accadendo nel Regno Unito: «Maggiore la preoccupazione per le speculazioni valutarie che hanno ingolosito gli operatori, di particolare entità il sell-off del debito britannico peggiorato da una sterlina via via più debole». Come dire: occhio a non fare come loro, tipo finanziare a debito riforme o sgravi fiscali. Eravamo i più indebitati da prima e lo siamo da decenni. La ‘colpa’ non è della Lagarde o di Macron, come non fu della Merkel, ma nostra. Comodo ribaltare la frittata solo per gli incantatori di serpenti, ma di cobra in giro non ne vediamo molti. Piuttosto polli.   Di Fulvio Giuliani

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