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La salute dell'Italia negli ultimi dati Istat

La salute dell’Italia negli ultimi dati Istat

Reddito e propensione al risparmio cresciuti sensibilmente, deficit in calo ma inflazione alle stelle: questo lo specchio dell’Italia offerto dagli ultimi dati Istat. Male ma non malissimo, grazie a Bce e Europa.
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La salute dell’Italia negli ultimi dati Istat

Reddito e propensione al risparmio cresciuti sensibilmente, deficit in calo ma inflazione alle stelle: questo lo specchio dell’Italia offerto dagli ultimi dati Istat. Male ma non malissimo, grazie a Bce e Europa.
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La salute dell’Italia negli ultimi dati Istat

Reddito e propensione al risparmio cresciuti sensibilmente, deficit in calo ma inflazione alle stelle: questo lo specchio dell’Italia offerto dagli ultimi dati Istat. Male ma non malissimo, grazie a Bce e Europa.
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Reddito e propensione al risparmio cresciuti sensibilmente, deficit in calo ma inflazione alle stelle: questo lo specchio dell’Italia offerto dagli ultimi dati Istat. Male ma non malissimo, grazie a Bce e Europa.
Gli ultimi dati Istat offrono dell’Italia un’immagine tutt’altro che scontata. I dati generali sono noti. Li ricapitoliamo solo per memoria. «Nel primo trimestre dell’anno – ha commentato l’istituto di via Cesare Balbo – l’indebitamento delle Amministrazioni pubbliche sul Pil si è marcatamente ridotto in termini tendenziali per il consistente aumento delle entrate, che ha più che compensato l’aumento delle uscite. Il reddito disponibile delle famiglie e la propensione al risparmio sono cresciuti sensibilmente in termini congiunturali, mentre il potere d’acquisto delle famiglie ha segnato una lieve crescita». In effetti il reddito disponibile delle famiglie è aumentato del 2,6% rispetto al trimestre precedente, portato in alto da un’inflazione che si è mangiata il 2,2% di quell’aumento. L’aumento effettivo è stato quindi solo dello 0,4%. Questa maggiore disponibilità è stata tuttavia investita soprattutto – segno di grande incertezza – nel risparmio. Che è aumentato dell’1,1%, mentre i consumi sono aumentati dell’1,4%. Ne deriva che in termini reali (al netto cioè dell’inflazione) questi ultimi non sono aumentati ma diminuiti, seppur di poco. Notizie più consolanti sul fronte della finanza pubblica. Il deficit scende dal 9% del Pil del trimestre precedente al 5,2%. Gli interessi vi hanno pesato per il 3,8%: in leggero aumento rispetto all’ultimo trimestre 2021 (3,5% del Pil). Nello stesso periodo il debito pubblico, secondo Banca d’Italia, è cresciuto del 2,9%. Quindi più dell’inflazione. Tuttavia, se si tiene conto che nel frattempo, su base annua (primo trimestre 2022/21), anche il Pil è aumentato del 7,53% in termini nominali e il debito del 3,96%, c’è da ben sperare che alla fine dell’anno il suo rapporto sul Pil sarà minore. Interessante è ricordare quanto era successo prima. Tra il primo trimestre del 2018 e il dicembre del 2020 – periodo segnato dalla presidenza di Giuseppe Conte – la spesa pubblica al netto degli interessi era passata dal 43,2 al 53,5% del Pil mentre l’indebitamento dal 3,2 al 12,8% del Pil. Certo si era trattato di un periodo particolarmente sfortunato, con il Covid-19 che mieteva lutti e dissanguava l’economia. Ma forse proprio per questo motivo, spese come quelle relative al reddito di cittadinanza o al bonus per l’edilizia del 110%, nelle forme caotiche che si sono viste, potevano essere risparmiate. Per fortuna Daniele Franco, con la sua gestione più rigorosa, è riuscito a metterci una pezza. Da quel picco la spesa al netto degli interessi si riduce al 48,2% e l’indebitamento, come si è visto prima, si contrae. Basterà? Purtroppo non dipenderà solo da noi. Nonostante l’inflazione, la spesa per interessi sul debito pubblico è rimasta quasi stazionaria. Merito soprattutto della Bce e di quell’Europa che qualcuno ancora oggi vorrebbe azzoppare.   di Gianfranco Polillo

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