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inflazione

La battaglia all’inflazione non è finita

La battaglia all’inflazione non è vinta. La parte più cruenta per il sistema finanziario e le famiglie potrebbe essere stata già scontata
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La battaglia all’inflazione non è finita

La battaglia all’inflazione non è vinta. La parte più cruenta per il sistema finanziario e le famiglie potrebbe essere stata già scontata
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La battaglia all’inflazione non è finita

La battaglia all’inflazione non è vinta. La parte più cruenta per il sistema finanziario e le famiglie potrebbe essere stata già scontata
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La battaglia all’inflazione non è vinta. La parte più cruenta per il sistema finanziario e le famiglie potrebbe essere stata già scontata

La scommessa è chiara: puntare sulla Federal Reserve americana (mercoledì ha varato un aumento più contenuto del previsto dei tassi di riferimento, un quarto di punto contro mezzo) che ha mandato segnali inequivocabili di raffreddamento della politica monetaria restrittiva. 24 ore più tardi, ieri, la Banca centrale europea ha rispettato le previsioni alzando i tassi di 50 punti base, toccando il 3%. Quinto rialzo consecutivo, livello più alto dal 2008 e annuncio di un ulteriore aumento di mezzo punto a marzo, con l’obiettivo di continuare la lotta all’inflazione.

Nonostante questo e la presidente della Bce Lagarde abbia confermato l’esigenza di una politica restrittiva, le Borse hanno reagito positivamente, dopo la già ottima seduta del giorno prima. Com’è possibile? I mercati detestano come poche altre cose il rialzo del costo del denaro e la minore disponibilità di liquidità, ma conta più di tutto la prospettiva, la sensazione che si sia arrivati al tetto, al limite degli interventi. In special modo negli Stati Uniti, dove il tasso di riferimento è ora al 4,75% e ci si aspetta non possa superare il 5%. Nell’Area euro, come detto, siamo al 3%. La battaglia all’inflazione non è vinta, insomma, ma la parte più cruenta per il sistema finanziario e le famiglie potrebbe essere stata già scontata. Comprendiamo perfettamente quanto poco queste parole possano valere per chi vedrà aumentare ancora la rata del proprio mutuo variabile, in conseguenza della decisione della Bce, ma questo è il ragionamento/scommessa degli investitori che spiega la reazione dei mercati. Questi ultimi tendono sempre ad anticipare le conseguenze delle mosse di politica monetaria (in gergo si dice “scontare”) e fatalmente i tempi delle Borse e delle famiglie finiscono per divaricarsi dolorosamente.

In Italia il costo della vita è sceso a gennaio, ma non tanto come era lecito attendersi. Restiamo al 10,1%, contro l’11,6% di dicembre. Insostenibile nel lungo periodo, nonostante il crollo dei costi dell’energia a cui pensavamo fosse legato il boom dei prezzi. Il gas è andato a picco, ma l’inflazione no. Si è innescato, dunque, un fenomeno più generalizzato e gli italiani o consumano meno o intaccano i risparmi. Le nostre famiglie hanno più risparmi che debiti e la lotta all’inflazione è così anche difesa di un nostro grande asset, il risparmio. Gli stessi rinnovi contrattuali e auspicati aumenti di stipendio, in un contesto di alta inflazione, rischiano di contribuire a un vortice di aumenti e a gettare i soldi nella fornace dell’inflazione. Quest’ultima resta la più iniqua delle tasse occulte perché colpisce indistintamente ricchi e poveri, ma incide molto più su chi ha meno, consumando il suo potere d’acquisto. La battaglia al mostro non possiamo che combatterla, pur sapendo che la medicina è amara. L’alternativa è bruciare pezzi consistenti del benessere delle famiglie italiane e questa non è un’opzione.

A proposito di ricchezza e benessere, due considerazioni: la recessione non c’è. Sia pur molto meno che nello spettacolare 2022 (+3,9% di Pil), l’Italia dovrebbe crescere anche quest’anno, come previsto dal governo Draghi e confermato dall’esecutivo Meloni. Il rallentamento nell’ultimo trimestre è un fatto, ma i segnali di recessione sembrano scongiurati, come sottolineato anche dalla Lagarde che ha lodato la resilienza dell’economia Ue.

Seconda considerazione: proprio il “paniere” – l’insieme degli articoli e dei servizi utilizzato per calcolare l’inflazione – ha appena registrato l’ingresso di voci come i massaggi, sintomo di una società con oggettivi tratti di opulenza. Il che ovviamente non significa dimenticare le sacche di povertà, ma invitare a un racconto più realistico del Paese. Da spingere a creare sempre più ricchezza e opportunità, non a fuggire da una supposta povertà indiscriminata e diffusa. Ben strana povertà, del resto, quella dei massaggi.

Di Fulvio Giuliani

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