La politica della recessione che non guarda alla realtà
Le statistiche prevedono un anno nero per l’Italia eppure, i dati ISTAT 2022, mostrano un quadro di sostanziale crescita del nostro Paese. Ma la politica italiana pare non essersene accorta.
| Economia
La politica della recessione che non guarda alla realtà
Le statistiche prevedono un anno nero per l’Italia eppure, i dati ISTAT 2022, mostrano un quadro di sostanziale crescita del nostro Paese. Ma la politica italiana pare non essersene accorta.
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La politica della recessione che non guarda alla realtà
Le statistiche prevedono un anno nero per l’Italia eppure, i dati ISTAT 2022, mostrano un quadro di sostanziale crescita del nostro Paese. Ma la politica italiana pare non essersene accorta.
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Le statistiche prevedono un anno nero per l’Italia eppure, i dati ISTAT 2022, mostrano un quadro di sostanziale crescita del nostro Paese. Ma la politica italiana pare non essersene accorta.
L’agenzia Fitch vede nero, prevedendo per l’Italia un 2023 in recessione: -0,7%. Vale per l’insieme delle economie europee e sul lato della produzione industriale, ad esempio, l’Italia è cresciuta nel 2022, salvo flettere da maggio, mentre la Germania scivola per l’intero corso dell’anno. Facciamo meglio della media europea, laddove eravamo abituati da lustri a fare peggio. Nei conti italiani il 2023 era quotato con un +0,9%, quindi un rallentamento della crescita ma pur sempre una crescita. I conti del Fondo monetario internazionale ci assegnano un +0,7%. Sappiamo che il rallentamento sarà maggiore e pesano i costi dell’energia. La realtà è questa, si tratta di affrontarla.
La cosa peggiore che sta capitando non è che la realtà presenti le sue difficoltà ma che la si neghi o ribalti. La cosa peggiore è la distanza fra le parole della politica, le promesse elettorali e la realtà.
Non solo chiuderemo quest’anno con una crescita importante, ma da decenni non crescevamo quanto negli ultimi due anni. Nei primi sei mesi del 2022 (dati Inps) sono state fatte 4 milioni e 270mila assunzioni, con 377mila trasformazioni contrattuali da tempo determinato a indeterminato. Nello stesso periodo più di 1 milione di lavoratori hanno deciso di dimettersi. Le cause possono essere diverse: alcune segnalano deficienze nel sostegno familiare ma, comunque, non sono certo segno d’indigenza. Ci sono anche stati 266.640 licenziamenti economici, in crescita rispetto al precedente anno (ma vigeva il blocco dei licenziamenti), perché ci sono anche aziende portate ai bordi o fuori dal mercato.
Compresi licenziamenti e dimissioni, comunque, nel semestre si è superato il livello occupazionale pre-pandemia, segnalando una velocità di ripresa decisamente superiore a quella (lentissima) successiva alla crisi del 2008. Queste realtà convivono ed è sciocco pretendere che sia vero il brutto e falso il bello o viceversa. Il mercato del lavoro e la crescita della ricchezza hanno portato a casa successi. Ma il punto è che la politica ha elaborato lo scenario della crescita come se fosse di recessione, mentre quella prospettiva se la trova davanti e non alle spalle. Da qui un pericoloso fraintendimento sulle cose da farsi.
La Covid-economy ha lasciato un’eredità infetta, consistente nella convinzione che i soldi dello Stato possano compensare e ristorare a piacimento. Ma siccome non esistono i “soldi dello Stato” semmai quelli dei contribuenti – compresi i debiti – ne deriva che chi va raccontando si possa elargire senza limiti sta prendendo in giro. O non ha capito niente. Solo chi crede che prendere voti sia più importante d’essere credibili può continuare a proporre maggiori debiti (alias scostamento di bilancio) come se fosse un rimedio e non il doloroso problema che deve fare i conti con i tassi d’interesse crescenti. E tali soggetti si trovano a destra come a sinistra, posto che a far danno saranno quelli che governeranno.
Se a destra si continua a strologare di sgravi fiscali di massa, ignorando l’evasione di massa e come se entrate e uscite fossero porte di due mondi diversi, a sinistra si strologa di aumenti salariali senza pensare alla produttività. Mi hanno colpito le parole di Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna ed esponente del Pd, che da una parte propone salari più alti e una mensilità in più, dall’altra ricorda che nella sua regione hanno fatto un accordo con sindacati e imprese per migliorare la formazione e diminuire la precarietà: non è così difficile capire che le seconde cose sono premesse delle prime, mentre le prime sono promesse che affondano le seconde. Contraddizione che ben riassume le conseguenze della falsificazione della realtà, facendo sbagliare strada.
Se si pensa di essere stati in recessione per i due anni in cui più si è cresciuti, elaborando politiche assistenziali, scende a zero la capacità di affrontare i difficili mesi a venire. Questo è il nostro scompenso.
di Davide Giacalone
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