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Massimo 1 NCC ogni 30 taxi: i pericoli della normativa catalana

Sta facendo discutere la normativa dell’Area Metropolitana di Barcellona che limita fortemente l’attività di chi voglia offrire servizi di NCC
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Massimo 1 NCC ogni 30 taxi: i pericoli della normativa catalana

Sta facendo discutere la normativa dell’Area Metropolitana di Barcellona che limita fortemente l’attività di chi voglia offrire servizi di NCC
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Massimo 1 NCC ogni 30 taxi: i pericoli della normativa catalana

Sta facendo discutere la normativa dell’Area Metropolitana di Barcellona che limita fortemente l’attività di chi voglia offrire servizi di NCC
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Sta facendo discutere la normativa dell’Area Metropolitana di Barcellona che limita fortemente l’attività di chi voglia offrire servizi di NCC
Nell’Area Metropolitana di Barcellona (l’«AMB») le imprese che vogliono offrire servizi urbani di NCC (noleggio con conducente) devono richiedere specifiche autorizzazioni per poter operare sul territorio. Non solo: per questi operatori economici è possibile ottenere solo un’autorizzazione ogni 30 licenze di taxi. Dato che il numero delle licenze di taxi è rimasto stabile negli ultimi 35 anni, come rilevato in un comunicato stampa della Corte di Giustizia europea, in pratica ai nuovi arrivati sul mercato dei servizi di NCC viene impedito l’accesso a tali autorizzazioni e quindi lo svolgimento del proprio lavoro in quella zona. D’altronde, il rapporto tra i taxi e i più recenti servizi di trasporto locale privato come Uber è da sempre una corda tesa, che può rompersi in qualsiasi momento. Un importante punto di contatto è stato trovato in Italia il 24 maggio 2022, quando, dopo il braccio di ferro tra tassisti e Governo sul ddl concorrenza, che alla fine ha visto saltare dal provvedimento approvato in prima lettura dalla Camera le relative norme, la multinazionale americana e la piattaforma romana It Taxi hanno siglato un accordo rivolto a oltre 12 mila taxi in circa 90 città italiane, di cui qui abbiamo parlato con il Country Manager Italia di Uber, Lorenzo Pireddu. Resta tuttavia delicato l’equilibrio tra la tutela degli interessi di una categoria (i tassisti) e la libera iniziativa economica, costituzionalmente garantita all’art. 41 della nostra carta costituente. I limiti imposti in terra spagnola impongono una riflessione anche al di qua dei Pirenei. L’Avvocato generale della Corte di Giustizia Maciej Szpunar sottolinea il fatto che, sebbene i servizi di trasporto locale di passeggeri su richiesta non siano soggetti ad armonizzazione nell’Unione europea, la libertà di stabilimento dev’essere rispettata. Questo principio è stabilito dall’art. 49 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea) e deve quindi essere osservato in tutti gli Stati membri. In ossequio a tale norma i lavoratori autonomi, i professionisti e le persone giuridiche che operano legalmente in uno Stato membro possono esercitare un’attività economica in un altro Stato membro su base stabile e continuativa. È lapalissiano, come evidenziato dall’Avvocato generale, che il requisito dell’autorizzazione in quanto tale e la proporzione di 1 a 30 costituiscano una restrizione di tale libertà. Equilibrio, si diceva. I principi sanciti dal TFUE possono essere derogati soltanto a fronte di un motivo imperativo di interesse generale. Tale non pare la motivazione dell’AMB nell’ammonimento dell’Avvocato generale. Szpunar evidenzia come la praticabilità economica dei servizi di taxi addotta dall’ente Area Metropolitana Barcellona non può di per sé costituire un motivo imperativo di interesse generale. Si finirebbe per accostare il servizio di taxi a quello del trasporto pubblico, analogia quanto meno opinabile. Tralasciando gli aspetti più tecnici, è d’uopo fare una riflessione di ampio respiro. Se è vero che il trasporto locale privato può colmare le lacune del trasporto pubblico locale, perché impedire che l’offerta dei servizi venga ampliata? Esistono norme che impediscono l’abuso di posizione dominante. Vanno eseguite e adattate ai casi specifici ma sempre nei loro limiti strutturali. Oltrepassarli genera il rischio che, per tutelare una categoria, si finisca per opprimere la concorrenza danneggiando il resto dei consociati. Difficile confutare quanto sostenuto dall’Avvocato Generale: se la vera intenzione è mettere a disposizione un adeguato sistema di trasporto locale privato, ampliare l’offerta ammettendo un maggior numero di veicoli NCC è la strada da seguire per risolvere il problema. Di Giovanni Palmisano

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