Le vicende di una società quotata in Borsa non si misurano con il metro della simpatia e dell’antipatia. Non si può un giorno avvertire il governo di stare bene attento a chi mette le mani su (quel che rimane di) Tim e il giorno appresso stabilire che il peggio è chi già è dentro, mentre il meglio è quel che s’offre di sostituirlo. Soprattutto non ha senso valutare un fondo sulla base di quel che si crede pensi il suo capo, salvo averlo in simpatia ieri perché voleva fare le scarpe a Berlusconi e averlo in uggia oggi perché si suppone voglia calzare quelle della destra.
E anche ammesso quello sia un metro, si deve saperlo usare: è vero che il gruppo editoriale che fa capo a Vincent Bolloré, azionista e guida di Vivendi, ha dato spazio e, forse, creato un demagogo qualunquista di destra in Francia che ora afferma di volersi candidare alla presidenza e sfidare Macron, ma non è detto che una roba simile danneggi Macron più di quanto danneggi gli avversari di Macron, di destra o centro che siano. In ogni caso, Vivendi è in Mediobanca e Bolloré in Generali, si trovano a essere azionisti di riferimento in Tim dal marzo 2016: doveva arrivare un’offerta di Kkr perché taluni se ne accorgessero?
Nelle società quotate contano (eccome) gli azionisti, come conta il management, ma contano di più la strategia annunciata e i piani che si intendono realizzare. Sulla base di quelli si misurano coerenza e capacità, nel mentre si fanno rispettare le regole di mercato. Simpatia e antipatia c’entrano nulla.
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