Nei prossimi anni l’Italia spenderà di più in armi
| Economia
L’Italia è pronta a spendere di più per la Difesa: scelta necessaria per difendere il nostro ruolo strategico di Stato moderno e andare oltre il perbenisimo

Nei prossimi anni l’Italia spenderà di più in armi
L’Italia è pronta a spendere di più per la Difesa: scelta necessaria per difendere il nostro ruolo strategico di Stato moderno e andare oltre il perbenisimo
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Nei prossimi anni l’Italia spenderà di più in armi
L’Italia è pronta a spendere di più per la Difesa: scelta necessaria per difendere il nostro ruolo strategico di Stato moderno e andare oltre il perbenisimo
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C’è una realtà scomoda e incontrovertibile che aleggia sulla testa del Paese, di una pubblica opinione che si gira ostinatamente dall’altra parte e di politici che pur di assecondarne gli umori farebbero qualsiasi cosa per nascondere l’ovvio. Nei prossimi anni l’Italia spenderà di più in armi. Spenderà di più per la Difesa. Spenderà di più per poter sviluppare una politica estera anche attraverso la pressione della forza militare.
Casi come quelli della missione “Atalanta” nel Golfo Persico contro i terroristi Houthi e a difesa delle rotte commerciali verso il Canale di Suez o del sostegno ai nostri militari impegnati in Libano nel Mediterraneo orientale o ancora il pattugliamento dello stesso Mare Nostrum in funzione antirussa saranno sempre più probabili. Senza dimenticare (anche se abbiamo la fastidiosa tendenza a farlo) che gli impegni nelle missioni internazionali come nel già citato Libano o in Kosovo sono essenziali per mantenere il nostro ruolo geostrategico.
Tutto questo ha un costo e prima ancora richiederebbe un preciso impegno politico. Con la sincerità, se non si vuole arrivare a parlare di “verità”: la Difesa è parte essenziale della vita di uno Stato moderno e di una potenza economica, senza la quale la stessa ricchezza di una nazione finisce per essere messa a rischio – si veda il caso degli Houthi – mentre fare politica estera finisce per essere velleitario in un’era di crisi profonde e globali. Solo che in Italia non si può dire.
Siamo il Paese che nel 1999 partecipò ai bombardamenti sulla Serbia di Milosevic arrivando a negare che i Tornado in missione impiegassero armi offensive. Cioè sganciassero bombe. Ci piace sottolineare la nostra indiscutibile capacità – riconosciuta a livello mondiale – nelle operazioni di peacekeeping, ma ci raccontiamo la favoletta di poterle svolgere armati di sorrisi e cerbottane. “Italiani, brava gente” o no?
Siamo un Paese con una proiezione marina dettata dalla storia e dalla geografia, ma se variamo una portaerei – la “Trieste” – ci affanniamo a spiegare che in fin dei conti non è troppo una portaerei. Che potrà svolgere operazioni umanitarie e di protezione civile. Ha un ponte di volo, gli hangar e potrà far decollare i caccia di quinta generazione F-35. Viene il sospetto che sia proprio una portaerei.
Che si spenda per le armi, per difenderci e per ricoprire un ruolo nel mondo, suona troppo brutto alle orecchie di cittadini assuefatti a narrazioni ipocrite e politici terrorizzati da parole anche solo leggermente dissonanti. Figurarsi avere il coraggio di far notare come sulle armi si possa guadagnare. Lo facciamo già, per determinati sistemi d’arma siamo leader a livello mondiale e alcune nostre aziende fanno un sacco di quattrini. Programmare per farne di più e rendere conveniente attrezzare la nostra politica estera risulterebbe del tutto intollerabile. Il ministro della Difesa Crosetto si spinge fin dove può, subendo gli sfottò quando ricorda che abbiamo a disposizione pochi missili per poterne spedire all’Ucraina invasa. Peccato dica la verità, scomoda e cocciuta.
Cerchiamo di fare la nostra parte: quando le nostre industrie non riceveranno componenti e dovranno fermare la produzione, ricordiamoci che per aiutarle manderemo in alcune delle zone meno raccomandabili della terra uomini altamente preparati e mezzi di ultima generazione. Costosissimi.
di Fulvio Giuliani
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