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Nessuno vince la guerra dei dazi

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I dazi sono una scommessa. Che per sua natura può andar male ma intanto scarica i suoi effetti sul consumatore medio. E sui produttori europei, asiatici, messicani e canadesi

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Nessuno vince la guerra dei dazi

I dazi sono una scommessa. Che per sua natura può andar male ma intanto scarica i suoi effetti sul consumatore medio. E sui produttori europei, asiatici, messicani e canadesi

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Nessuno vince la guerra dei dazi

I dazi sono una scommessa. Che per sua natura può andar male ma intanto scarica i suoi effetti sul consumatore medio. E sui produttori europei, asiatici, messicani e canadesi

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Nessuno vince la guerra dei dazi… La scommessa è stata descritta dallo stesso Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. I dazi del 25% sulle auto e la componentistica in vigore dal prossimo mercoledì, 2 aprile, servirebbero a spingere (obbligare) le case automobilistiche attualmente più forti sul mercato Usa a spostare la loro produzione sul territorio americano. Una scommessa per sua natura può andar male ma intanto scarica i suoi effetti sul consumatore statunitense medio. E sui produttori europei, asiatici, messicani e canadesi.

Gli Usa importano il 60% delle auto vendute e lo fanno in particolare da Messico, Germania, Corea del sud, Giappone e Canada. In parte sarà possibile sostituire una quota di componentistica proveniente dall’estero con una domestica. Ma quanto a progettare e realizzare impianti industriali di produzione su vasta scala si parla di investimenti miliardari. E di anni e anni per la progettazione e realizzazione.

Questi sono fatti, che avranno conseguenze dirette sui consumatori americani e non c’è un solo osservatore indipendente disposto a escludere una fiammata dei prezzi. Nel frattempo, i dazi del 25% sulle auto sono vissuti in primis da Messico e Canada come un attacco diretto alla propria economia. E alla loro stessa sovranità.

Nel caso del Canada, a dirlo non siamo noi ma il Primo Ministro Mark Carney, che ha parlato di “tradimento”. C’è da capirlo. Nel suo Paese la produzione legata all’automobile è da sempre centrata sugli accordi di libero scambio con gli Usa e impiega 125mila persone. Costituendo il 10% dell’intero export. Stesso discorso per il Messico che, al di là dei complimenti riservati da Trump alla presidente Claudia Sheinbaum, ha un milione di lavoratori nel settore auto (in buona percentuale per marchi statunitensi). Che rappresenta il 5% della propria economia.

Se qualcuno dovesse pensare che i problemi siano canadesi e messicani, converrebbe ricordare che fra i principali Paesi esportatori negli Usa c’è la Germania. Alla cui economia la nostra è legata a doppio filo. Triplo se parliamo di automobili. La filiera italiana della componentistica, una delle più avanzate al mondo, ha nella Germania il primo mercato e sbocco naturale. Una sofferenza tedesca è una sofferenza italiana. Già ieri Porsche e Mercedes hanno parlato di danni per miliardi di dollari causati dai dazi.

Ci sono le borse che perdono quota trainate dei titoli delle case automobilistiche e poi ci sono effetti legati anche alle semplici minacce. Un caso di scuola è quello del prosecco italiano. Dopo le frasi shock di Trump sui dazi al 200% sui vini, i rappresentanti dei tre consorzi di riferimento del settore hanno denunciato il blocco delle esportazioni verso gli Usa. È bastata la minaccia, perché non c’è alcun dazio in vigore, ma la paura fa 90. O 200, 25, 20, a seconda delle diverse versioni della guerra commerciale scatenata da The Donald.

Di Fulvio Giuliani

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