Donne, giovani e lavoro: una triade che spesso finisce per essere poco tutelata dalla legislazione attuale. Le risorse andrebbero orientate quanto più possibile alla famiglia ed evitare dannose scorciatoie.
Continuiamo il ragionamento di ieri sui ragazzi, il lavoro, la formazione e – perché no – il guadagno. Lo spunto ci è dato dalla sollecitazione del ministro del Lavoro Orlando su giovani e donne. L’esponente del Pd ha ipotizzato che la Pubblica amministrazione e i fornitori della stessa siano obbligati ad assumere una quota del 30% di donne e di giovani sotto una determinata età. L’ovvia finalità sarebbe quella di ridurre il gap sull’occupazione maschile oltre i trent’anni. Nessuno mette in discussione le migliori intenzioni, sono le soluzioni a non convincerci.
Passando ai ragazzi, a fronte di una disoccupazione media del 9%, galleggiamo da anni intorno al 25%. Il mondo del lavoro di oggi, dipendente o autonomo che sia, è caratterizzato da una continua tensione alla competizione e all’ottimizzazione di costi e risorse.
È credibile imporre l’assunzione per genere o età? Si obbligherebbero aziende anche private a fare le proprie scelte non solo sulla base del merito e della qualità professionale. Con ulteriore distinzione, poi, fra genere ed età, in un ginepraio inestricabile per chiunque abbia una minima conoscenza del recruiting. Bisogna metter mano all’attuale complesso delle norme sul lavoro, che continua ad approfondire il solco fra chi è super-tutelato e chi finisce per sperimentare ciò che viene definito ‘precariato’. Per lo più donne e giovani. Appunto.
Posto che non si può pensare di portare tutti al massimo delle tutele – una chimera inapplicabile alla realtà – non resterebbe che correggere una legislazione che ha finito per autodefinirsi raffinata e garantista, dimenticando di fare il proprio mestiere, cioè favorire l’occupazione. A certificarne il fallimento sono le difficoltà delle nuove famiglie e della maternità. Arduo fare peggio di così e perseverare resta diabolico.
Le risorse andrebbero orientate quanto più possibile ai servizi alla famiglia, per coprire in particolare i primissimi anni dei bambini, garantendo alle mamme non tanto la conservazione del posto di lavoro tout court ma la garanzia dell’occupazione. Non del singolo impiego. Perché se non ce l’hai, non verrà creato per legge.
La pandemia, intanto, ha posto al centro della scena il lavoro da remoto. Anche qui, è arrivato il momento di dire le cose scomode: l’home working, negli anni della formazione, può essere un problema. I nostri ragazzi non possono pensare di essere pronti alla sfida di un lavoro sempre più competitivo, come si scriveva, senza frequentare gli ambienti di lavoro, i colleghi e le persone di maggiore esperienza. Capi compresi.
Non si può raccontare la favoletta che tutto si possa ridurre al work life balance. Obiettivo legittimo e affascinante, ma da sposare con la primaria esigenza di acquisire le competenze sufficienti ad avere un mercato. Ai ragazzi dovremmo spiegare che è sacrosanto cercare rapporti di lavoro diversi dal modello delle generazioni precedenti, ma anche che solo un’elevata professionalità può garantir loro il decisivo potere contrattuale per ottenerli.
Non ci sono scorciatoie e il lavoro da remoto può finire per essere un grande vantaggio economico per le aziende e una solenne fregatura per il giovane lavoratore ancora non formato.
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Tag: lavoro
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